
Non deve essere stato facile per un artista d’origine olandese trovarsi a Roma nell’ultimo quarto del Seicento e diventare famoso senza aver mai dipinto un quadro di soggetto religioso. E’ quanto è successo a Vanvitelli padre, noto almeno quanto il figlio, Luigi Vanvitelli, tra i massimi esponenti dell’architettura settecentesca italiana, e altrettanto importante nel definire un’intera epoca del gusto. Una mostra ce ne documenta il percorso: “Gaspare Vanvitelli e le origini del vedutismo”, a cura del Chiostro del Bramante diretto da Fabio Benzi e del Polo Museale di Roma diretto da Claudio Strinati, in collaborazione con i Musei Civici Veneziani presieduti da Giandomenico Romanelli, prima a Roma dal 26 ottobre al 2 febbraio 2002, poi a Venezia dal 28 febbraio al 1 giugno 2003.
Come dice il Direttore artistico del Chiostro, Fabio Benzi, curatore della mostra e del catalogo, edito da Viviani arte: “Si tratta (per incredibile che possa sembrare) della prima monografia che si sia mai realizzata su uno dei maggiori pittori europei tra Sei e Settecento, il maggior ritrattista della città di Roma, uno dei grandi iniziatori del genere della veduta che caratterizzò il risveglio moderno dell’estetica, in una prospettiva già, a quell’epoca, di marca illuminista”. Infatti Vanvitelli è un pittore “tanto noto quanto, in realtà, poco conosciuto”.
Gaspard van Wittel (nato nel 1653 ad Amersfoort in Olanda e morto a Roma nel 1736), italianizzato con il nome di Gaspare Vanvitelli, noto anche come Gaspare degli occhiali, era venuto al mondo negli anni e nei luoghi in cui Vermeer di Delft mutava sostanzialmente obiettivi e natura delle vedute paesistiche olandesi, sentite ora come silenzioso e vivo palpitare delle cose immerse nella natura.
Nel 1675, l’arrivo a Roma di Vanvitelli, che con il soprannome di De Toorts (“la Torcia”), entra a far parte del gruppo di artisti olandesi denominato Schildersbent, segna una svolta di grande interesse per la pittura di vedute; infatti “già nelle opere degli anni settanta è evidente il calcolo delle luci, delle ombre e degli spazi, come tre elementi di pari rilevanza nella costruzione della pittura” (C. Strinati). Nella città eterna l’artista olandese trova suddiviso il gusto artistico tra il maturo cortonismo, che nel Maratta celebrava l’apostolo più convinto, e il paesaggismo accademico erede di Poussin, con Dughet, Ghisolfi e Rosa, grande scenografo di scenari boscherecci. Dal 1681 data una fecondissima attività di vedutista: i suoi dipinti riflettono puntualmente la realtà, con capacità prospettiche e analitiche, ma immuni da freddezza o eccessivo scientificismo.
Vanvitelli, i cui paesaggi appaiono limpidi, esaltati in un’atmosfera decantata, tramati su indicazioni di minuto particolarismo, giocati con coloriti freddi, riscuote presso i committenti italiani un considerevole successo (tanto che nella collezione Colonna, per esempio, si contavano ancora nel 1787 180 sue opere), aveva cominciato, al seguito dell’ing. Meyer, che faceva ricerche sulla navigabilità del Tevere, con l’illustrare il percorso del fiume al fine di progettare interventi idraulici. E’ un inizio da disegnatore tecnico, di cui conserverà sempre una traccia.
Anche nella raffigurazione delle vedute cittadine porta l’esattezza rappresentativa del disegno scientifico: l’inquadratura della Veduta del Tevere a Castel Sant’Angelo, raffigurata in grandi dimensioni nel 1683 e più volte ripetuta nel piccolo formato ad acquarello su pergamena, così come le sue vedute di Piazza del Popolo, di Montecavallo con il palazzo del Quirinale, hanno il pregio di consentire la documentazione, a distanza di pochi anni, delle variazioni architettoniche intervenute nei singoli siti. La tecnica del riporto, praticata con altri dipinti a tempera su pergamena, “tecnica peculiare dell’artista, che gli permetteva un’esecuzione minuziosissima dei dettagli e parimenti una splendente luminosità pittorica” (F. Benzi), gli serve nello stesso tempo a serializzare la raffigurazione di un singolo sito ma anche a variarne la consistenza luministica e tonale.
In seguito Vanvitelli percorre tutta l’Italia, riportandone impressioni che saranno trasferite nelle sue vedute e nei paesaggi. Ne rimangono esempi a Roma (Galleria Corsini; coll. Incisa della Rocchetta; Galleria Nazionale d’Arte antica), a Torino (Galleria Sabauda), a Firenze (Uffizi), a Napoli, a Berlino, a Duesseldorf, a Londra (British Museum).
Con tutta probabilità prima del 1723 l’artista di Amersfoort compie un viaggio a Venezia: allora, a contatto con i paesaggisti del primo Settecento, soprattutto di Marco Ricci, la sua pittura acquista in calore nell’impasto delle tonalità, che ne scioglie e diluisce il carattere nordico, rendendolo più appetibile al gusto degli artisti italiani. L’esperienza veneziana peraltro è destinata a rivelarsi fondamentale per i pittori lagunari, da Luca Carlevarijs, ai grandi protagonisti della veduta veneziana del Settecento, come Canaletto, Bernardo Bellotto e Francesco Guardi.
La parte del catalogo e della mostra dedicata al vedutismo veneziano è illustrata da schede di Filippo Pedrocco e Isabella Reale. In questa parte della mostra sono documentati lavori di Joseph Heintz il Giovane (1600-1678) e Luca Carlevarijs (1663-1731) con le sue “Fabriche, e Vedute di Venetia” e i dipinti; così come quella relativa alle opere di Vanvitelli è a cura di Laura Laureati e Ludovica Trezzani.
La traccia documentaria della produzione vanvitelliana è parca: “una serie di indirizzi presso cui abitò, una lettera ad un collezionista, le date di alcuni –pochi- suoi quadri, qualche episodio rilevante ma non saliente (l’afferenza all’Accademia di San Luca, un matrimonio, ecc.), alcuni viaggi, documentati più dei dipinti che non da notizie e cronologie certe” (F. Benzi), ma se andiamo a vedere da vicino la sua attività artistica non possiamo non essere colpiti da un’evidenza molto precisa: il rinnovato rapporto con la visione. Non a caso Vanvitelli era chiamato Gaspare degli occhiali, per via del fatto che erano necessari quegli strumenti per seguire le trame della sua minuziosissima tecnica esecutiva. Ma gli occhiali cui si riferisce l’appellativo rimandano anche ad un ingegnoso meccanismo, una specie di camera ottica che sembra molto praticata nell’Olanda del periodo. Charles Seymour ha ipotizzato da parte di Johannes Vermeer l’uso di una camera oscura per i suoi quadri. La camera oscura od ottica permetteva di ribaltare la realtà su un vetro satinato o su uno specchio, enfatizzandone i contorni, accentuandone luci e chiaroscuri. Questa camera permette all’artista di fare a meno della prospettiva e restituisce sullo specchio la figura libera da un geometrismo soffocante, consentendo all’occhio dell’artista un rapporto più naturalistico con la realtà. Samuel van Hoogstraeten dirà infatti: “Sono certo che la vista di questi riflessi nel buio possa far capire molto ai giovani artisti; perché non solo qui si acquista la conoscenza della natura, ma si vede quali caratteristiche principali o generali dovrebbero esser proprie di una pittura veramente naturale”.
Una volta entrati nel sistema inventivo vanvitelliano, possiamo abbandonarci al puro gusto della visibilità al cospetto di queste mirabili inquadrature di Roma. Molti quadri sono dipinti in orizzontale, come a voler seguire un’ispirazione fotografica antelettera. L’autore è infatti attentissimo all’inquadratura, che sembra per lui la cosa più importante, insieme alla dimensione luministica en plein air. L’effetto è quello di un viaggio virtuale nella Roma a cavallo tra Sei e Settecento, con le sue vedute di Piazza del Popolo, con la panoramica di Trinità dei Monti e di Villa Medici, della porta Pinciana, della piazza e del palazzo di Montecavallo (Quirinale), di piazza Navona, di Campovaccino, dell’arco di Settimio Severo e il tempio di Saturno e soprattutto del Colosseo, ripreso da tutte le angolature. Dalla mostra si esce con un senso di soddisfazione per aver visto all’opera questo “pittore di Roma”, che ci restituisce le rovine della città millenaria con una sensibilità a mezzo tra Arcadia e Illuminismo.
Antonio De Lisa
Didascalie delle foto:
- Foto in jpg Vanvitelli (1):
“Veduta panoramica con villa Medici, Tempera su pergamena”
- Foto in jpg Vanvitelli (2):
”Veduta di piazza San Giovanni in Laterano”, olio su tela
- Foto in jpg Vanvitelli (3):
“Veduta del Colosseo da sud-est”, Tempera su pergamena

Categories: V06- Arte moderna europea - European Modern Art
Rispondi