Cinema e cultura nella Repubblica di Weimar

Cinema e cultura nella Repubblica di Weimar

Il periodo della Storia della Germania che va dal 1919 al 1933 è conosciuto come la Repubblica di Weimar. Prende il nome dalla città di Weimar, dove si tenne un’assemblea nazionale per redigere una nuova costituzione dopo la sconfitta tedesca della prima guerra mondiale.

Il primo tentativo di stabilire una democrazia liberale in Germania fu un’epoca di grande tensione e di conflitto interno, che si concluse con l’ascesa al potere di Adolf Hitler e del Partito Nazionalsocialista nel 1933 (il Partito Nazionalsocialista rappresentò il maggior beneficiario della crisi politica – economica che attanagliò tutto il periodo di durata della fragile repubblica). Anche se tecnicamente, la costituzione del 1919 non venne mai revocata interamente fino a dopo la seconda guerra mondiale, le misure legali prese dal governo nazista nel 1933, che sono comunemente conosciute come Gleichschaltung, in effetti distrussero tutti i meccanismi forniti da un normale sistema democratico, è quindi comune segnare il 1933 come la fine della Repubblica di Weimar.

Durante la Repubblica di Weimar la Germania conobbe un’intensa fase di espansione artistica, culturale e scientifica. Fra le opere di tale periodo possono essere segnalate le caricature politiche di Otto Dix, John Heartfield e George Grosz, il movimento artistico della Neue Sachlichkeit, film come Metropolis di Fritz Lang e molte altre opere prodotte dalla Universum Film, il movimento architettonico del Bauhaus, il funzionalismo di Ernst May e Bruno Taut e il cabaret decadente documentato da Christopher Isherwood. In campo musicale emergeva la musica atonale e moderna di Alban Berg, Arnold Schoenberg e Kurt Weill.

Il cinema di Fritz Lang

Fritz Lang, (Friedrich Christian Anton Lang – Vienna, 5 dicembre 1890 – Beverly Hills, 2 agosto 1976), è stato un regista e sceneggiatore austriaco, noto soprattutto per i suoi lavori all’interno della scuola espressionista tedesca, dopo i quali si spostò a lavorare a Hollywood.

Lang iniziò a studiare architettura alla Technische Hochschule di Vienna, per poi iniziare a viaggiare per l’Europa e, più tardi, anche per l’Asia ed il Nord Africa. Dal 1913 al 1914 visita Monaco e Parigi, dove prende lezioni di pittura. Successivamente fa ritorno a Vienna per combattere durante la prima guerra mondiale nelle file dell’esercito austro-ungarico dal gennaio 1915.

Nel 1916 viene gravemente ferito, e approfitta della lunga convalescenza per scrivere alcune sceneggiature per film. Viene dimesso all’inizio del 1918, ed inizia a recitare in un teatro di Vienna. Successivamente accetta un lavoro come scrittore presso la compagnia di Eric Pommer a Berlino, ed in seguito divenne regista, prima alla UFA, e poi alla Nero-Film.

Nel 1920 incontra la scrittrice ed attrice Thea von Harbou, sua futura moglie, con la quale scrisse le sceneggiature dei suoi film più celebri, come Il dottor Mabuse, I Nibelunghi, Metropolis e M – Il mostro di Düsseldorf. Il matrimonio si celebra nel 1922, e durerà fino al 1933.

Nel 1921 viene assunto dalla Decla, una casa cinematografica tedesca, dove lavora inizialmente come montatore, per tornare poi dietro la macchina da presa. Il suo primo grande successo arriva in questo stesso anno, con il film Destino.

Con la salita al potere del Nazismo, a Lang, già molto affermato, pare venisse offerta da Joseph Goebbels in persona la carica di dirigente nell’industria cinematografica, nonostante il regime avesse violentemente avversato una delle sue pellicole più celebri, M – Il mostro di Düsseldorf, ed avesse impedito la distribuzione di Il testamento del dottor Mabuse. Lang inizialmente accetta l’offerta, ma abbandona la Germania la sera stessa, sospettando una trappola; scappa prima in Francia e poi, un anno dopo, negli Stati Uniti, mentre la moglie decide di restare in patria e collaborare con il regime, scrivendo e dirigendo film.

Il primo contratto negli USA lo firma per la MGM, e la nuova carriera hollywoodiana fa conoscere al regista una nuova serie di successi, grazie a film quali Furia, Sono innocente, La donna del ritratto, Strada scarlatta e Il grande caldo. In tutti questi film, Lang lascia risaltare la sua concezione pessimistica della vita, sempre filtrata, però, da quel che rimaneva del suo gusto espressionista dell’inquadratura. La civiltà industriale è vista come una fonte di ansia, di alienazione e violenza, nel quale l’individuo singolo è una vittima oppressa dal destino.

Negli anni cinquanta, con il declino dell’industria cinematografica, lavorare gli diventa difficile, soprattutto per la sua fama di uomo particolarmente esigente. Lang decide, allora, di tornare in Germania verso la fine degli anni sessanta per concludere la sua carriera, girando tre film, che non furono accolti bene. Nel 1964 fece parte della giuria al Festival di Cannes, e prese parte, nelle vesti di sé stesso (Fritz Lang nella parte di Fritz Lang, monocolo incluso), a Il disprezzo di Jean-Luc Godard.

Neue Sachlichkeit (Nuova oggettività)

La Nuova oggettività (in tedesco Neue Sachlichkeit) è stata un movimento artistico nato in Germania alla fine della prima guerra mondiale che coinvolse principalmente la pittura. L’anno più importante per il movimento fu probabilmente il 1925, quando si tenne una mostra d’arte a Mannheim dedicata alla Nuova oggettività. Ebbe punti di contatto più o meno marcati con il realismo, il neoclassicismo, l’espressionismo, il dadaismo e il surrealismo. In particolare, fu come reazione all’espressionismo che alcuni artisti cercarono la rappresentazione della realtà senza trucco; questi artisti, disillusi e pieni di cinismo e di rassegnazione nel tragico dopoguerra tedesco, volevano osservare le cose concrete con amara acutezza e con una lucidità descrittiva quasi glaciale, usando l’arte come un’arma, come un freddo specchio teso alla società malata e corrotta. La Nuova oggettività si distingue tuttavia dal realismo, in quanto conserva una certa componente emozionale, tipica della tradizione culturale tedesca: è per questa componente che alcuni particolari vengono accentuati all’estremo ed intensificati espressivamente.

La Nuova oggettività terminò con la fine della Repubblica di Weimar e con la presa del potere da parte dei nazisti, che consideravano la Nuova oggettività come arte degenerata: fu allora che numerosi artisti emigrarono, per lo più verso gli Stati Uniti.

In pittura la Nuova oggettività fa parte di quel vasto fenomeno di rinnovato interesse per la realtà tangibile che caratterizza la situazione artistica europea intorno al 1920, con la corrente dei Valori plastici in Italia e con la parentesi neoclassica in Francia.

All’interno della Nuova oggettività si possono distinguere due gruppi: una corrente verista e una corrente più classica. Nonostante le loro divisioni, entrambi i rami sentivano la stessa necessità di tornare al reale ed al quotidiano, dopo l’eccesso soggettivista dell’espressionismo.

La corrente verista

Il gruppo verista, attivo soprattutto tra Berlino e Dresda, era molto attento alle vicende del tempo ed era impegnato politicamente nel caotico dopoguerra tedesco. I soggetti più frequentemente usati per mettere inclementemente a nudo le realtà più cupe del tempo sono i profittatori, gli sfruttatori, le prostitute, i mutilati di guerra messi vicino a distruzioni e rovine. Tra gli esponenti più noti di questa corrente si ricordano George Grosz, Otto Dix, Conrad Felixmüller, Rudolf Schlichter e Heinrich Maria Davringhausen.

La corrente classica

Il gruppo chiamato Realismo magico, riconducibile ai centri artistici di Monaco di Baviera e Karlsruhe, era più aperto alle influenze del movimento italiano Valori Plastici, di cui ammirava gli intenti plastici e prospettici.

Fu scelto il nome di realismo magico perché mirava a cogliere le zone di magico incanto della realtà quotidiana, alla ricerca di un classicismo armonioso e senza tempo per comprendere l’essenza dell’oggetto nella sfera artistica, al di là delle leggi fisiche dello spazio e del tempo. Questi artisti, che possono essere considerati come un ponte verso il surrealismo, erano poco impegnati politicamente, più interessati alle tecniche ed ai modi stilistici tradizionali; generalmente dipingevano paesaggi, nature morte e ritratti. Tra gli esponenti più noti di questa corrente si ricordano Georg Schrimpf, Alexander Kanoldt, Franz Radziwill, Carl Grossberg e Christian Schad.

In campo fotografico, la Nuova oggettività si caratterizzò per la forte dimensione sociale. Per smarcarsi dalla pittura, cercò di sottolineare la specificità della macchina fotografica nella resa realistica delle qualità tattili, luminose, spaziali degli oggetti.

Anche in architettura la Nuova oggettività rappresentò una linea di demarcazione con l’espressionismo. I rappresentanti del movimento ritenevano che il lavoro dell’architetto non fosse di creare una costruzione semplicemente bella esteticamente, ritenendo la bellezza intrinseca ad una struttura moderna e funzionalmente efficiente.

In letteratura la Nuova oggettività cercò una direzione sobria e realistica per rappresentare la società moderna con l’accuratezza di un documentario ed apparentemente senza sentimenti, attraverso la pura e semplice osservazione della realtà, senza il pathos tipico dell’espressionismo. Secondo questi scrittori, la concezione espressionista del poeta come guida era stata spazzata via dal mondo moderno, dominato dal progresso tecnologico.

Nel cinema

La Nuova oggettività fu una delle tre correnti principali del cinema tedesco degli anni Venti, assieme all’Espressionismo e al Kammerspiel. Detta anche nuovo realismo, fu la corrente che più si focalizzò sulla descrizione e la documentazione di quel difficile periodo della storia tedesca, narrando le storie disperate degli individui. La mescolanza di scene prese dal vero e di finzione serviva a qualificare la storia come reale, autenticandola.

Piel Jutzi ad esempio mescolò scene vere di documentario con scene di finzione (Il viaggio di mamma Krausens verso la felicità, 1929, o Nostro pane quotidiano, 1929), con comparse non professioniste assieme ad attori, luoghi originali e scene di vera vita quotidiana. Oppure Kühle Wampe, girato nel 1932 da Slatan Dudow e Bertold Brecht, mostra la storia di finzione di un operaio che si uccide, ma mostra anche lunghe riprese di Berlino e del campeggio che ospitava i cittadini rimasti senza casa chiamato appunto “Kühle Wampe”.

Un grande tema della Nuova oggettività fu quello della strada, intesa come luogo di perdizione e divoratrice di vite umane (La strada di Karl Grune, 1923, Tragedia di prostitute di Bruno Rahn, 1927, o Asfalto di Joe May, 1928).

Aderente al realismo, ma di stampo più teatrale, è l’opera del grande regista Georg Wilhelm Pabst, artefice di alcuni ritratti femminili tra più affascinanti della storia del cinema, con la “trilogia della donna perduta” (La via senza gioia, 1925, Il vaso di Pandora, 1929, e Diario di una donna perduta, 1929).

Visioni

Fritz Lang, Il dottor Mabuse (1922) – Musica di Michael Klubertanz

Questo film fa parte della corrente del cinema espressionista tedesco. Lang diede due seguiti a questo film con Il testamento del dottor Mabuse del 1933 e Il diabolico dottor Mabuse del 1960. A questa trilogia sono ispirati vari film successivi che riprendono il personaggio del Dottor Mabuse.

Il film dura 270 minuti, per cui lo stesso Lang lo divise in due parti: Dr. Mabuse, der Spieler. Erster Teil: Der große Spieler. Ein Bild der Zeit (Dr. Mabuse, il giocatore. Parte I: Il grande giocatore. Un quadro dell’epoca) e Dr. Mabuse, der Spieler. Zweiter Teil: INFERNO. Ein Spiel von Menschen unserer Zeit (Dr. Mabuse, il giocatore. Parte II: INFERNO. Un dramma di uomini della nostra epoca).

Il Dottor Mabuse, medico psicoanalista, è per Lang l’incarnazione del male. Capace di impadronirsi di immense fortune condizionando la borsa con mezzi illeciti, dedito al gioco d’azzardo e alla fabbricazione di denaro falso, ha come fine ultimo delle sue azioni la manipolazione degli individui e della realtà.

All’inizio del film, Mabuse commissiona il furto di un contratto commerciale, seminando il panico nel mercato azionario. I prezzi crollano e il genio malefico riesce a fare razzia dei titoli. Successivamente il contratto viene fatto ritrovare e i titoli riprendono valore. Mabuse diventa ricchissimo. Manovre occulte, commistione fra criminalità e finanza, crolli di borsa. Un affresco lungimirante del capitalismo finanziario.

Nel delirio di onnipotenza di Mabuse, il genio di Lang aveva prefigurato l’origine di ogni male. Immerso nell’ambiente della malavita, in cui opera come un’entità oscura e onnipotente, si rende autore delle azioni più malvagie, eliminando ogni nemico o presunto tale.

Le paure su cui il film fa leva sono tipiche della borghesia. Tracolli finanziari, inflazione, criminalità e la stessa fobia della psicoanalisi, porta di accesso all’inconscio e potenziale strumento per scardinare strutture sociali consolidate. Emblematica è la scena in cui Mabuse, vestendo i panni dell’agitatore, sobilla la folla contro la polizia. Un protagonista della rivolta dirà che, pur non avendo mai conosciuto l’agitatore era rimasto come soggiogato dalla sua retorica. La paura dell’anarchia della rivoluzione è più che mai esplicita.

Singolare che il protagonista, sebbene sia in grado, tramite l’ipnosi e il magnetismo indotto, di soggiogare la mente delle persone, non riesca a far innamorare la contessa che egli ama e che tiene prigioniera.

Alla fine del film, il malefico psicoanlista, dopo essere sfuggito ad una sparatoria, impazzisce, e rimane preda dei sui incubi.

Fritz Lang, Metropolis (1927)

Metropolis è un film muto del 1927. Il film è costruito come un’opera lirica ed è nettamente diviso in tre parti: il “Prologo”, che dura per l’intera prima metà del film, un breve “Intermezzo”, e un “Furioso” che segna le scene finali.

Ben prima di George Orwell e del suo romanzo 1984, Lang ipotizza un possibile 2026, esattamente 100 anni di distanza da quello di produzione del film, nel quale le divisioni classiste sembrano accentuarsi; negli sfavillanti grattacieli di Metropolis, infatti, vivono gli industriali, i manager, i ricchi e nel sottosuolo vivono gli operai confinati in un ghetto, di cui i ricchi sembrano neanche ricordarsi; il capo di tutto questo è l’imprenditore-dittatore John Fredersen (Alfred Abel), che vive in cima al grattacielo più alto, quello coi rostri come piste di atterraggio per aerei (abbastanza evidente è il richiamo al Chrysler Building di New York); suo figlio Freder (Gustav Frölich) vive in un irreale giardino dell’Eden, popolato da sensuali fanciulle. Improvvisamente irrompe nel giardino l’insegnante e veggente Maria (Brigitte Helm), accompagnata dai figli degli operai, che lo invita a guardare i “suoi fratelli”, in un forte campo-controcampo a 180º.

Freder rimane così colpito dalla visita di questa donna che decide di visitare il sottosuolo e immediatamente si rende conto delle condizioni disumane in cui sono costretti a lavorare gli operai, i quali anche se stremati non possono commettere il minimo errore pena l’esplosione della macchina di cui si occupano e la morte dei meno fortunati, evento a cui Freder assiste. Ancora in preda alle allucinazioni, dovute allo scoppio e ai fumi fuoriusciti, vede la macchina come un grande Moloch che ingoia le sue vittime umane (il riferimento è al film Cabiria, del 1914); sconvolto da tanto orrore e brutalità decide di parlarne con suo padre per far cambiare le cose.

Il padre si preoccupa solo della minaccia che l’incidente può costituire per il suo potere.

Il responsabile delle macchine Grot (Heinrich George) porta delle mappe trovate nei vestiti degli operai morti. Fredersen licenzia l’assistente Josaphat (Theodor Loos), per non avergli riferito in tempo dell’incidente e delle mappe trovate in tasca agli operai. Il figlio, disapprovando la scelta del padre, rincorre l’assistente e lo salva dal suicidio; con questa sequenza inizia il viaggio di Freder nei sobborghi di Metropolis, tra i suoi fratelli. Fredersen fa seguire il figlio da una spia, lo Smilzo (Fritz Rasp).

Freder decide di fingersi operaio per vivere sulla propria pelle le fatiche dei lavoratori, regala i vestiti a 11811 (Erwin Biswanger), un operaio sfinito dalla fatica, e lo sostituisce alla macchina: il suo lavoro è quello di spostare continuamente le lancette su una ruota in maniera da collegare due luci che si illuminano sul bordo; in una visione la sua macchina si trasforma in un enorme quadrante di orologio che segna dieci ore, le dieci ore del turno di lavoro, e quando sta per terminare sembra tornare minacciosamente indietro. Ben presto Freder si rende quindi conto delle condizioni disumane in cui sono costretti a lavorare i dipendenti di suo padre, costretti a sopportare calore, fumi e orari impossibili che lo fiaccano alla soglia dello svenimento; intanto un operaio con aria cospiratrice non riconosce Freder e gli dà appuntamento alla fine del turno nel sottosuolo perché una “lei” li vuole vedere.

Questa donna è Maria (nome e ruolo non sono casuali, Lang ha voluto far parlare di pace e d’amore una donna simbolo di purezza cristiana) che accoglie gli operai sfiniti dal lavoro raccontando la storia della Torre di Babele, che simboleggia la Metropolis costruita dalle loro braccia per farci abitare i ricchi, così come la torre di Babele fu costruita per avvicinarsi al cielo dagli schiavi.

Maria predica la pace futura e l’avvento di un mediatore che porrà fine alle iniquità perpetrate dai capitalisti sugli operai; questi però, sfiniti dalla dura giornata lavorativa, ascoltano con malavoglia le parole di Maria e uno di loro a gran voce dice che non aspetteranno ancora per molto. Mentre gli operai se ne vanno, Freder rimane inginocchiato, estasiato dalle parole di Maria, tanto da innamorarsene, e questo amore viene ricambiato dalla giovane ragazza che lo bacia e gli dà appuntamento alla cattedrale per il giorno dopo.

Nel frattempo il padre di Freder fa visita all’inventore delle macchine di Metropolis, Rotwang (Rudolf Klein-Rogge), che vive da solo, struggendosi per la perdita di Hel, la madre di Freder morta di parto, che scelse Fredersen al suo posto. Rotwang ha progettato un robot (sempre Brigitte Helm), che chiama uomo-macchina, in grado di sostituire in tutto l’uomo; questo robot sembra avere un corpo da donna, e proprio una donna diventerà poiché l’inventore è capace di trasformare quell’ammasso di metallo in una figura indistinguibile da una persona in carne e ossa.

Fredersen chiede all’inventore cosa rappresentino le mappe trovate in tasca agli operai: l’inventore capisce che si tratta delle catacombe, situate ad un terzo livello della città, al di sotto delle abitazioni dei lavoratori. Facendogli segno di seguirlo, lo conduce attraverso un intricato percorso che li porterà ad ascoltare il discorso di Maria. Fredersen capisce che il figlio non aveva tutti i torti quando parlava di possibili rivolte operaie e decide pertanto di prendere le contromisure, incaricando l’inventore di rapire Maria per dare al robot le sue sembianze, in modo da poter controllare i malumori degli operai attraverso la predicazione di una falsa Maria.

L’inventore rapisce Maria e, per mezzo di un congegno basato su onde elettromagnetiche, copia l’esteriorità di Maria e la trasferisce al robot, BEL.

La Maria-robot viene inviata in un bordello della zona dei divertimenti di Metropolis, Yoshiwara, alla presenza dell’aristocrazia di Metropolis, esibendosi in uno spogliarello in cui mette a nudo le grazie ricevute dalla Maria-umana; il pubblico, tutto maschile, rimane a bocca aperta per la bellezza della donna e si scatena in contese e follie dettate dalla lussuria senza freno della donna robot, incarnazione della Grande Meretrice biblica. Nella scena la finta Maria appare a cavallo di un mostro che evoca l’Apocalisse di Giovanni.

Il giovane Freder, dopo aver scoperto il robot nell’ufficio del padre e convinto che sia la vera Maria, si ammala e cade preda di terribili allucinazioni. Maria in realtà è ancora nella casa di Rotwang, dove quest’ultimo le confessa di aver programmato il robot affinché esso spinga gli operai a distruggere le macchine, contravvenendo per vendetta alle istruzioni di Fredersen, suo antico rivale in amore; quindi le intima di rimanere con lui. La Maria-robot aizza gli operai a cui non par vero di iniziare la “rivoluzione”: solo Freder capisce immediatamente che colei che sta parlando non è la vera Maria, ma non viene creduto perché veste gli abiti borghesi e per questo viene picchiato e scacciato dal sottosuolo.

Gli operai si ribellano, fuoriescono in massa dal sottosuolo. Maria stessa incita a non lasciare indietro né uomini né donne. Fredersen, avvisato da Grot della situazione, dà ordine di aprire i cancelli e lasciare arrivare la folla alla Heart Machine, il generatore che alimenta la città. La distruzione del generatore causerebbe l’allagamento del sottosuolo, e quindi delle case degli stessi insorti. La falsa Maria, alla testa dei ribelli, sovraccarica il generatore, che esplode.

Metropolis, regno del lusso e del benessere, collassa: il maestoso sistema d’illuminazione cessa di funzionare e le ripide strade della città divengono un cimitero di lamiere. Fredersen si rende conto di quanto sta accadendo dopo essersi recato a casa di Rotwang per ricevere consiglio ed aver scoperto il piano di distruzione di quest’ultimo: preso dalla disperazione, tramortisce lo scienziato, permettendo così a Maria di fuggire e di salvare, assieme a Freder, i bambini imprigionati nel sottosuolo allagato.

Fredersen è disperato per la perdita del figlio, e lo Smilzo gli ricorda che all’indomani dovrà rendere conto a migliaia di persone infuriate di quello che è successo ai loro figli nella città sotterranea.

Maria discende nella città sotterranea per cercare di sedare la ribellione, ma rimane isolata dalla caduta degli ascensori causata dall’esplosione.

Intanto gli operai, felici per aver distrutto le cause della loro oppressione, ballano e cantano intorno alle macchine; a ricondurli alla ragione ci pensa il guardiano della macchina centrale Grot che ricorda loro di non aver pensato alle conseguenze del loro operato, ovvero che con la distruzione delle macchine le loro case si sarebbero allagate e all’interno di esse vi erano i loro bambini.

Anche gli operai, dopo aver ascoltato le parole del capo-operaio, cadono in uno stato di prostrazione e in preda al furore vendicativo decidono di punire colei che li ha spinti alla rivolta, Maria. Inizialmente viene catturata la vera Maria, che riesce a fuggire nascondendosi a Yoshiwara. Per un fortunato scambio i ribelli catturano la Maria-robot che viene legata a un palo e bruciata come una strega, tra le urla di Freder, trattenuto a stento dalla folla assetata di vendetta, il quale crede sia la sua amata; di sangue però non ne scorre, poiché “sciolta” l’esteriorità di Maria, rimane il metallo lucido del robot tra lo stupore e lo spavento dei carnefici.

La vera Maria viene nuovamente catturata da Rotwang che, invasato, la scambia per Hel, e la insegue fino alla terrazza della cattedrale gotica. Freder li segue e si scaglia contro l’inventore per salvare Maria, la quale viene portata da Rotwang sopra il tetto a spiovente. Nel frattempo Fredersen giunge alla piazza e assiste a tutta la scena, con la paura che il figlio possa essere scaraventato a terra dall’inventore; fortunatamente Freder riesce a spuntarla e a morire è Rotwang che precipita dalla cattedrale. La sequenza finale segna l’intesa tra gli operai e il padrone avvenuta tramite Freder, il mediatore profetizzato da Maria che finalmente è arrivato a portare pace ed armonia tra le genti.

Il finale del film, scritto da Thea von Harbou, venne in seguito ripudiato da Lang. Quello scritto da Lang avrebbe visto i due innamorati partire su un razzo, mentre la città veniva distrutta dagli sconvolgimenti della ribellione.

Fritz Lang, M – Il mostro di Düsseldorf (1931)

Scena iniziale

Considerato uno dei capolavori dell’espressionismo tedesco, è il primo film di Lang ad avvalersi del sonoro ed il grande regista utilizza questa nuova prerogativa in maniera magistrale, ad esempio legando la scoperta dell’identità “mostro” al motivetto che fischietta sempre (il tema del IV movimento della suite Peer Gynt op.46 di Edvard Grieg).

In una città tedesca (il film è girato a Berlino ma il titolo italiano richiama il caso di cronaca del 1925, che ha ispirato il film, avvenuto a Düsseldorf) la popolazione è terrorizzata da un maniaco (apparentemente pedofilo) che ha adescato ed ucciso otto bambine. La polizia è messa sotto pressione dall’opinione pubblica quando il mostro uccide un’altra bambina e s’impegna a fondo nella ricerca, rallentata dalla burocrazia. La popolazione cade nel panico e, in molti, arrivano ad accusarsi a vicenda. A peggiorare le cose l’assassino manda una lettera alla polizia. I poliziotti organizzano numerose retate nei quartieri frequentati dalla malavita, creando forti problemi alle associazioni criminali della città. Le maggiori organizzazioni criminali decidono quindi di trovare il mostro, chiamando un boss originario di li ma ricercato dalla polizia di molte nazioni, che li organizza usando anche i mendicanti come spie per le strade, per ridurre la pressione della polizia nella città.

Polizia e criminali giungono quasi contemporaneamente a scoprire l’identità del criminale, ma questi ultimi lo scovano prima, grazie all’aiuto di un mendicante cieco che ne riconosce il fischio, e per seguirlo gli segnano la giacca con una M di gesso. Inseguito l’assassino, un certo Hans Beckert, si nasconde in un palazzo di uffici. Alla fine i criminali riescono a catturare il mostro poco prima dell’arrivo della polizia e lo processano.

Al cospetto di un originale tribunale fatto di ladri, assassini e prostitute, il mostro che aveva scosso la città rivela la sua pazzia, una forza malvagia che lo spinge a tali crimini; il processo, dopo un acceso dibattito, sta per chiudersi con un verdetto di morte, quando viene interrotto dall’arrivo della polizia, che aveva scoperto il covo dei criminali grazie alla confessione di un boss rimasto intrappolato nell’edificio dove si nascondeva il mostro, che arresta anche i capi del crimine locale e consegna “il mostro di Düsseldorf” alla giustizia ordinaria.

N.B. I contenuti di questo Post sono un adattamento di materiali tratti dalle  più diffuse storie del cinema.



Categories: Uncategorized

Tags: ,

Rispondi

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: