Antonio De Lisa- Canzoniere laterale- Poesie per musica

PROEMIO

La danza, il buio, l’infinito

A vederti ballare
col tuo passo lieve e disinibito
che scivola in un modo indefinito

vorrei dirti tre e tre volte amore,
ma mi basta uno sguardo
perché so che i tuoi passi dorati
a me son dedicati e a nessun altro.
Mi faccio spettatore,
in una folla di umori appagati,
come il muto bersaglio della freccia.
E’ scoccata verso un nuovo invito,
come la danza, il buio, l’infinito.


Zagial

Il tuo senso del ritmo mi innamora
ignota, splendida signora.
Il luccichio della tua collana

che semina di luci la pedana
richiama un’attrazione lontana
splendente  nel frastuono dell’ora.
E io vorrei prenderti a volo
a cento passi lontano dal suolo
e baciarti mille volte in volo
mentre spunta una lucida aurora.


Il tuo corpo che danza

Il tuo corpo che danza muove lo spazio
in sempre nuovi disegni: l’osservo,
che si sottrae al freddo coacervo
di divieti ordinari, mai sazio.

Mi piace il suo ritmo nascosto
e mentre lo chiamo a passi inusuali
ne controllo e ammiro l’ascesa
e il celato arabesco delle ali.
Accade che prenda il suo posto,
esso il mio, non c’è miglior intesa.
L’aperta sfida mi seduce, senza resa.
Perché non ci vediamo più? Dove sei?
Ci chiudiamo in un freddo fair play.
Ma io ancora di te non sono sazio.


PARTE PRIMA

Ruins – Orizzonte meridiano

Due derive

Siamo come due derive
che fendono il vento che arriva
dal mare nell’ora sonora
del silenzio e del tramonto.

Vi affondiamo incuranti dell’ora;
ma io non vorrei
essere in nessun altro posto
con nessun’altra persona.

In nessuna altra memoria.
Con nessun’altra fermare il tempo,
dire addio alla storia.


Area di sosta

Col sole aranciato basso sull’orizzonte
procediamo lenti e sorpassati dai padrepii
disegnati sulle fiancate dei tir.

Chorus

Il sonno di noia è senza sogni,
la fame senza spasimi,
il pullman ha una direzione ignota.

Riempio di carboidrati, zuccheri
e grassi l’attesa e fuori piove.
Risalendo, siamo rimasti in due.

L’autista indifferente mette nell’impianto
stereo del colosso a motore
una canzoncina mielosa di Ligabue.

E’ naturale dimenticare
l’ultimo problema esistenziale
in un’area di sosta autostradale,
tra gli sbuffi dei freni a pressione
dei tir a lunga percorrenza, di notte.

Chorus

Il sonno di noia è senza sogni,
la fame senza spasimi,
il pullman ha una direzione ignota.

La sola compagnia di un passeggero
incupito nelle sue cuffie color latte
e l’autista, che fuma una sigaretta dopo l’altra,
mi ricordano l’Epiro o la Tunisia meridionale.


Notte di sortilegi

Notte di sortilegi
cielo di fregi, sulla costa
fra raffiche impetuose di vento,
vento di terra che frena il mare,

vento che porta fuoco nel rogo
e incendia la notte di San Lorenzo,
vento che scuote
in una moltitudine di scintille,

fosca la notte nel fuoco dei fuochi
che dipinge di sue vampe
il mare atterrito. Le stelle perdono
la scena spaurite tra folate che rotolano

sassi in un groviglio di alberi allampati,
tra spire che vorticano come baccanti.
Fuoco che brucia nel caldo
vento che non tace.


Bocconiana

Sei bella, tosta e tutta in nero ora.
Al pensiero del tuo amore alla deriva
ti batte quel maledetto cuore ancora
e per ripicca ti vesti come una diva.

Metti insieme a caso happy hour
e ormoni col sapore dei soldoni
ma sembri molto giù in questo tour,
anche tutta “discoteche e Bocconi”.

Chorus
Mentre citi l’economia di mercato
e ti chiedi “l’amore che cos’è?”
versi lacrime di dolore insensato
ma è quell’amore che ora non c’è.

T’ho visto a lezione piegata e mesta
sullo smart del tuo amore andato a male,
una selfie strappata in una patetica festa
fatta durante le vacanze di Natale.

Hai troncato la tua adolescenza
e ora che da lontano guardi i messaggi
a novecento chilometri di distanza
capisci cos’è la visione dei miraggi.

Chorus
Mentre citi l’economia di mercato
e ti chiedi “l’amore che cos’è?”
versi lacrime di dolore insensato
ma è quell’amore che ora non c’è.

Ora sei sola nei tuoi vestiti a tiro,
studi in una città molto molto su
-anche se c’è qualcuno che ti prende in giro –
ma ormai non ci credi nemmeno tu.

Chorus
Mentre citi l’economia di mercato
e ti chiedi “l’amore che cos’è?”
versi lacrime di dolore insensato
ma è quell’amore che ora non c’è.


Ruins

Sono le nostre rovine
a venirci dietro meste,
sembrano sepolcri al confine,
la gente se ne va da tale peste.

Non si vede più nemmeno
una pietra rimasta in piedi,
una sola fabbrica sul terreno,
solo petrolio e leccapiedi.

Chorus
Lucania antica
come ti sei ridotta?
Sembri una vecchia strega
puzzolente e un po’ mignotta.

La rete stradale scadente,
fra straripamenti e frane,
ponti e treni sospesi sul niente,
non ci si vede neanche un cane.

Gli operai per malasorte
sono tornati contadini.
Tutto ha sapore di morte
tra gli sfigati degli Appennini.

Chorus
Lucania antica
come ti sei ridotta?
Sembri una vecchia strega
puzzolente e un po’ mignotta.


Fast fud

Lento il treno solca
le profonde vallate lucane,
indolente e sonnacchioso,
ogni fermata uno sbadiglio.
Il sole ha il tepore
delle vacanze sospese.
Lunghe misteriose epocali
le fermate alle stazioncine locali.

Tra i quattro che giocano a tressette
c’è il solito imbroglione e pure incazzato
che urla parole, parole a caso
sul mesto panorama desolato.
Non c’è neanche chi vende panini
e il cesso è puzzolente e sfasciato.

Quando sale il controllore a Sicignano
s’imbuca l’abituale clandestino
il ferroviere ne ha già viste di ogni colore
chiude gli occhi e si asciuga il sudore
e poi cosa c’è da controllare
in un treno che stenta a decollare.

Quando vedi il Sele vuol dire che sei
quasi a Eboli, nei pressi di Salerno,
lì dove si era fermato il padreterno.
A Battipaglia c’era
un negozietto di sfogliatelle,
calde e untuose come un dolce messicano,
ora al suo posto c’è un fast fud americano.


Oil Trip SS 598

E’ verde questa valle,
più verde delle mie speranze,
ma non me la conta giusta
questa esse esse cinque nove otto.

Non si vede quello che c’è sotto,
tra i prati e le colline
e speriamo che presto
non diventi rosso.

Rosso come i tumori in seno,
rosso come queste fiamme,
vampate che spengono il cielo
nei pressi del Centro Olio.

Esse esse cinque nove otto,
qualcosa si muove qua sotto.
Sta per piovere a dirotto
Esse esse cinque nove otto,

Si erge come una centrale
nucleare nel deserto,
questa cattedrale
alle soglie dell’inferno.

Se si inquinano le falde
qui saranno dolori per tutti,
ammalano l’acqua,
inquinano il domani.

Quanto ci vuole per far diventare
nero tutto ciò, come il petrolio?
Nero come il senso di colpa,
di un consiglio di amministrazione?

Esse esse cinque nove otto,
qualcosa si muove qua sotto.
Sta per piovere a dirotto
e va tutto a quarantotto.


Petrolio

E’ l’alba di un nuovo giorno
in Val d’Agri, ma sembra la fine,
tra nebbia, interruzioni, copertoni,
gallerie interminabili senza luce,
e fiumi di fumo di catrame bruciato.

I pesanti Tir vanno a prelevare petrolio,
una grande ricchezza che scorre in mani
di società multinazionali lontane,
lasciando sull’asfalto e sui campi scie
di chiazze inquinanti oleose e malsane.

Chorus
A noi tocca la fine per cancro.
le famiglie distrutte e i torti.
Ma tranquilli, egregi signori,
non daremo più fastidio,
fra poco saremo tutti morti.

Siamo nella Chernobyl lucana.
A nessuno importa che qui c’è gente
sull’orlo di un disastro ambientale.
Farà la fine dei propri nonni
in una nuova migrazione meridionale.

I paesi giacciono in fin di vita
e sul paesaggio tanto decantato
ma che è ormai solo un malato
neanche il cielo è più sincero,
chiazzato di offese e maltrattato.

Chorus
A noi tocca la fine per cancro.
le famiglie distrutte e i torti.
Ma tranquilli, egregi signori,
non daremo più fastidio,
fra poco saremo tutti morti.

Intorno al “Centro Oli” di Viggiano
non cresce più neanche una mela.
Era un terreno fertilissimo,
ci hanno buttato tanto veleno
da farlo diventare una discarica.

I contadini vendono i terreni,
non servono più a niente,
la storia delle generazioni svanita,
qui niente ha ormai più senso,
nemmeno forse la vita.

Chorus
A noi tocca la fine per cancro.
le famiglie distrutte e i torti.
Ma tranquilli, egregi signori,
non daremo più fastidio,
fra poco saremo tutti morti.



PARTE SECONDA

Whatshappening

Katia

Katia lascia scorrere il giorno
senza un verso
senza un rigo.

Katia non è riuscita
a fare il salto dialettico
dalla qualità alla quantità.

Si chiude in frigo.

Katia vive solo di notte,
ogni tanto qualcuno si intromette:
gente strana, vagabondi,
predatori, divorziati e anche sognatori.

Katia ogni tanto alza il gomito
ma non molto, solo per andare
un po’ su di giri, ne ha passate tante
ultimamente con la storia dei suoi amori.

Katia si sposta sulla poltrona
per chiudere un po’ gli occhi stanchi
e non pensare più a niente
ma si alza, è ancora troppa l’adrenalina.

Katia vive solo di notte.
Non c’è più nessuno che si intromette.
Musica a palla.
Movida Blog.
Chattaggio selvaggio.
E occhio gonfio la mattina.


Respiro

Mi immergo nel tuo respiro
ebbro di sensazioni
inconsuete, a tratti fugaci.

I tuoi battiti del cuore,
sono l’unico ritmo che ascolto,
lontano dal mondo consueto.

All’inizio mi eri quasi indifferente,
poi poco a poco mi hai invaso
e solo allora ho capito che cedevo.

Si era aperto un varco nella diga,
crollava il mio vecchio passato,
mi si schiudeva un mondo nuovo.

Ora lo so che non posso fare altro,
ora lo so che sono andato,
ora posso solo ubriacarmi di te.


Thousand Waves

My roots are in the sea
Lulled and transported
By the current of the waves.

It is the wave that moves me
Like a cork
In the vortex flow.

It is the wave that pushes me
Away from this
To another time.

It is the wave of the time
That makes me cherish
Another sea breezes.

It is the wave that whispers to me
To go among the people,
Away from the tomb

Of false appearances.
It is the wave that whispers to me
As in an echo of sirens

The need to go
Even if the goal is less
Important than the journey.

The wave sings
With sweet words
The path of pilgrimage.

The wave shows
Perhaps the place
For reunification.

Maybe it’s just an illusion, the call
Of another era, but it is the wave
That leads me to the shipwreck.


Vincenti e perdenti

In un paese triste e indifferente
Marco prende una bastonata
dopo l’altra fra gente senza allegria,
fra gente che ha smarrito la via.

Marco avrebbe un gusto maledetto
ad esibire e manifestare
gli idoli e le icone
della moda che dice “Io”,

di quelli che se ne fregano,
di quelli che la competizione
a ogni costo e vaffanculo,
di quelli che sono meglio “Io”.

Chorus

L’ottimismo dei “vincenti”
è contagioso, rassicurante;
la smania della competizione
alza l’allarme e l’adrenalina,
va a gamba tesa negli affanni
dai rapporti umani.

Marco uno straccio di lavoro
non lo trova e gli fa schifo
fare il friggitore di patatine
ma non sa che fare e si dispera.

Marco non ne può più
e sfascerebbe volentieri una vetrina
se trovasse il coraggio
sniffando una tirata di cocaina.

Chorus

L’ottimismo dei “vincenti”
è contagioso, rassicurante;
la smania della competizione
alza l’allarme e l’adrenalina,
va a gamba tesa negli affanni
dai rapporti umani.

Marco detesta la ricchezza degli altri
si è fatto il culo sui libri di ingegneria
e ora vede che è tutta una menata
la promessa di quella vita agognata.

Marco sta a spasso e si detesta,
a perdere tempo in giornate
fatte di nulla ora che ha mollato la ragazza
non poteva darle quello che chiede il mercato.

E quando gli sale l’angoscia
s’accorge che non ha risposte.
Marco con il precariato
nella testa non andrà lontano.


Solo attesa

Quando ti penso
il mondo mi sorride dentro.
Quando ti sento
è come se si fermasse il tempo.
Quando ti percepisco
ascolto il fruscio delle ali,
come una sorpresa.

Quando ti sento
so cos’è un canto.
Quando ti muovi
so cos’è la danza.
Quando ti abbraccio
mi dimentico di esistere,
sono solo attesa.

Quando ti lascio
è come uscire dal mondo.
Quando ti rivedo
è come un raggio d’inverno.
Quando chiudi la porta
so come è esser soli
all’inizio di una discesa.

Quando ti annuso
scivolo dentro un sogno.
Quando ti sogno
è come perdere il centro.
Quando ti penso,
mi dimentico di esistere,
sono solo attesa.


Commando

Sono in quattro nella BMW,
li vedo arrivare da lontano,
in un primo momento non ci avevo fatto caso,
ora mi accorgo che stanno cantando a perdifiato.
Non realizzo subito la situazione.
Quattro ragazzoni, con qualcosa in mano,
qualcosa che sembra un’arma da gioco,
ma è un’arma vera, è proprio un mitra
con la sua bocca di fuoco
e i proiettili in canna.
Il guidatore canta a squarciagola
lo vedo che scala la marcia …
hanno solo vent’anni …
hanno solo vent’anni …

Chorus 1

Una specie di calamita mi spinge
a fissarli negli occhi, occhi cattivi,
occhi di cocaina,
occhi pronti a spegnere altri occhi.

E’ pericoloso guardare negli occhi
chi imbraccia un mitra,
potresti essere un testimone di un agguato, o di qualcosa
che gli somiglia.
Non vedi la mostruosità delle sue intenzioni,
vedi la tremenda forza delle decisioni.
Tremenda, diabolica, militare.
Traspare dalle pupille dilatate.
Il sudore imperla volti contratti dallo spasmo,
uno di loro ha un crocefisso che spunta
sul petto con la camicia aperta
sul tatuaggio giapponese …
Hanno solo 20 anni …
Hanno solo 20 anni

Chorus 2

Si stanno preparando al massacro.
Ma il vero massacro è quello della loro vita.
Qualcuno ce li ha mandati, in quell’inferno,
al riparo di una scrivania di legno pregiato.
Lui lì, loro là, nelle braccia della polizia.

Il rosso del semaforo è eterno,
ha paralizzato il tempo,
lo ha immobilizzato in uno spasmo,
in una smorfia.
Il movimento dei passanti è rallentato,
come in un acquario,
uomini e donne respirano a fatica.
Nel cielo un elicottero della polizia
sferruzza con le sue pale un cielo di latte.
I quattro cantano, a squarciagola,
passandosi sguardi di complicità,
guapperia, sfida alla vita e alla morte.

Chorus 1

Una specie di calamita mi spinge
a fissarli negli occhi, occhi cattivi,
occhi di cocaina,
occhi che si accingono a spegnere altri occhi.

Uno agita l’aria con la mano libera dal mitra,
porta il tempo, batte sulla portiera
come su una percussione,
lo fa con cattiveria, di chi sta attraversando una soglia.
Il rosso del semaforo liquefa i colori tutti intorno.
C’è solo quel rosso, l’ultimo ostacolo.

Chorus 2

Si stanno preparando al massacro.
Ma il vero massacro è quello della loro vita.
Qualcuno ce li ha mandati, in quell’inferno,
al riparo di una scrivania di legno pregiato.
Lui lì, loro là, nelle braccia della polizia.


Simil Rave

Mi sono innamorato di te
in una nottata simil-rave
e ora sono pieno di perché.

La musica urlava nel sudore
come il sangue nelle orecchie
al tonfo pulsante del cuore.

Chorus

Mondo Di Merda, Amami,
come t’ho amato io
in quella notte in cui
mi sono sentito dio.

Mi sentivo libero e senza peso
luminoso come una meteora,
senza l’ansia maledetta, disteso.

Non so se succederà ancora
ora che ci sei tu qui con me,
ora qui con me, come allora.

Chorus

Mondo Di Merda, Amami,
come t’ho amato io,
solo in quella notte,
poco prima dell’addio.


Orizzonte sotterraneo

Lui è qui, ma non c’è più.
Più che la situazione
fa male l’inutilità
di parole spese male.

Chorus

C’è qualcosa che ha senso
ormai, in questo deserto irrequieto?

Sì, vecchie abitudini,
nuove lontananze.
Toccare l’irrealtà sfiorandosi,
riconoscersi estranei vivendosi.

Chorus

C’è qualcosa che ha senso
ormai, in questo deserto irrequieto?

Lui era qui, ma non mi sente più.
Questa é la situazione.
Resta solo l’amarezza
di un prevedibile finale.

Chorus

C’è qualcosa che ha senso
ormai, in questo deserto irrequieto?

No. Quieto, il mio respiro
cerca il suo sotterraneo orizzonte.
Ma lui emerge altrove,
luce di un altro mare.


Erasmus Generation

Ti vedo in Skipe ma senza voce
sembri una foto un po’ sbiadita,
nonostante la connessione veloce
sei un volto di un’altra vita.

Sei in Colombia per scelta volontaria;
l’ultima volta che ti ho incontrato
eri a Istanbul in una struttura sanitaria
e la penultima non ricordo dov’è stato.

A Medellin ora fa molto caldo,
dice il tuo linguaggio senza suoni
ma il nostro rapporto non è più saldo,
non fai più colpo sulle mie emozioni.

A Scienze politiche eri il migliore,
i tuoi amici ti vedevano lanciato
in un mondo di livello superiore
in un lavoro non banale e variegato.

Quello che dopo non ho capito
è il tuo randagismo, quell’andar a tentoni.
Alle borse di studio e al loro mito
seguiva la droga delle tue illusioni.

Chorus

Non resisterò a un’altra tua chiamata,
ho un tuffo al cuore quando vedo il tuo volto
ma ora so com’è veramente andata,
è l’ultima speranza quella che m’hai tolto.

Ero attratta dalla tua carriera di giramondo
anche se soffrivo per la tua eterna assenza,
innamorata, anche se stavi andando a fondo,
stupidamente cieca di fronte alla tua impazienza.

Poi hai cominciato a fare strane cose
per smania di viaggi senza meta,
come chi cerca urgentemente una dose,
come chi cerca di tirar su qualche moneta.

Ora ti vedo come una pianta sradicata,
che aleggia in un orizzonte incerto,
precario in carriera o una foglia schiacciata,
come un pellegrino smarrito in un deserto.

Cedevi a facili amori e disinvolti,
“Esperienza”, mi dicevi, “niente di che”,
il problema è che ce ne sono stati molti,
ora mi chiedo chi sia stata io veramente per te.

Chorus

Non resisterò a un’altra tua chiamata,
ho un tuffo al cuore quando vedo il tuo volto
ma ora so com’è veramente andata,
è l’ultima speranza quella che m’hai tolto.


The Sounds of the Night

The sounds of the night
have something of the music
and something of the randomness
of the noise.

They mark the space,
mark the time,
are like an echo
of the day.

The colors have an appearance
flaky and insincere
in the border area
between day and evening.

The sounds of the night
have something of the music
and something of the randomness
of the noise.

Friends that keep us
from going too deep
in ourselves.
It is the slow scan
of the zero-time.

The quiet of the balance,
the closed circuit of oblivion,
the limited field of farewell.

The sounds of the night
have something of the music
and something of the randomness
of the noise.

I enjoy the suspension
of an hour without minutes
in no-time
of a parallel world.

The sounds look
after like faithful dogs.
Silence does not exist.


Indecisa

E la sua assenza
la sento più viva
di mille presenze,
e mi sembra allora
che si svolga, forse,
come una metamorfosi
dell’assenza in essenza,
così mi appare,
quasi la vedo,
ma non la metamorfosi: lui,
vedo lui, insieme
alla metamorfosi
che di lui è specchio,
quasi, e allora penso,
mentre all’alba
mi frantumo e mi sciolgo
nelle mille schegge di luce
di un giorno
oscuramente luminoso,
annusando l’ambiguo
odore del freddo
che stordisce e ristora
-dopo una notte in bianco-
penso, ma non so cosa penso,
e nemmeno lo so se penso,
e si fa riempire, il tempo,
della sua assenza,
ma è un’impressione,
come il ricordo incombente
della sua presenza.
Indecisa.


Viaggio notturno

Sugli scogli che affiorano pigri
tenero è il sussurro del vento
per onde che fremono cantilenanti
nella scia della barca che solca
la notte.

Nel mare una distesa di silenzio
complice delle ombre sulla costa
in un manto che nasconde le anse
come una coperta di affanni.

Il viaggio notturno cerca
l’orizzonte
e la sua concava malinconia
nella brezza ondivaga e mutevole
delle sue diecimila direzioni.


Rhum

Quando ti ho visto quella sera
in un bar del quartiere
la prima cosa che ho notato di te
è stato il tuo bicchiere di Rhum.

Facevi finta di niente
con lo sguardo un po’ distratto,
la barba di tre giorni
e un sigaro tra le labbra.

Andavano tutti a vuoto
i miei sguardi furtivi;
sembravi assorto
in un mare di blues.

Proprio l’espressione
che mi piace di più,
ma dovevo andare,
ti ho lasciato nel bicchiere di Rhum.

Strade piovose,
locali affollati,
gente normale,
per dimenticare.

Nottate infinite,
risate e cazzate,
la solita storia,
uno sguardo triviale.

Baci furtivi,
amicizie sbagliate,
un tiro, un bicchiere,
battute sbagliate.

E poi tu.

Al mio risveglio al mattino,
con il trucco liquefatto,
la prima cosa che ricordo di te
è proprio quel bicchiere di Rhum.

Facevi finta di niente,
con il volto un po’ tirato,
una nuvola di pensieri
e il sigaro fra le labbra.

Scendo lenta le scale
divorata dalla fretta,
non vedo l’ora di ritornare
a navigare nel tuo mare di blues.

Ma la tua foto sul giornale
mi racconta un’altra storia.
Quella sera nel locale
era il tuo ultimo bicchiere di Rhum.



PARTE TERZA

Plastic Field

Pelle

E’ come se fossi avvolto
nella tua pelle, a soffrire
il dolore lancinante
del filo spinato,
per sfociare come in sogno
in un tappeto di carezze.

La metamorfosi si racconta
all’alba incombente;
come due allegre comari,
parliamo di me come fossi assente.

Come se  fossi io
la cavia e il seduttore,
la vittima e il traditore.


Genova 2001

Nelle manifestazioni No Global
Anna era in testa, sempre generosa,
ma sotto un diluvio di botte,
tra i gas urticanti della polizia.

Sembrava l’ultima occasione,
in quel caldissimo luglio del 2001,
per dare voce alla protesta,
prima del buio di una generazione.

Anna era pesta e insanguinata
nel corteo dagli ultimi
spezzoni della classe operaia,
inghiottita dal precariato.

Anna era l’ultima testimone
della Volontà generale,
l’ultima a urlare la protesta,
col rischio di farsi massacrare.

Ma massacrata è ora lo stesso
da chi le aveva promesso
che andava tutto bene
nell’Italia del progresso.


Lockdown

Pesa la città indifferente o ostile
e talvolta tutte e due le cose.
Non fa respirare.
Non si lascia amare.

Si percorrono i sentieri del nulla,
alla ricerca di un appiglio,
di uno sperone di roccia
su cui tentare la salita.

Se vai alla ricerca di occasioni,
di percorsi appena appena vivibili
si incontra il muro, il muto
volgersi dall’altra parte della città.

L’offerta è di cose virtuali,
esibizioni di personaggi televisivi,
musica all’ingrosso,
annunci assolutamente epocali.

La gente ti guarda in cagnesco,
sembra ferita a morte
e allora si gira a vuoto,
in questo mare di scontento.

I locali sono chiusi,
i servizi pubblici assenti,
le strade attraversate
da guidatori solitari.


La fine del giorno

Alla fine del giorno si depositano
pensieri come grani di polvere
abbandonati dal sole e dal vento.
Sembrano contenti che oggi
è già ieri. Ma allora perché
si sente ancora il mormorio
indistinto dei tuoi desideri?


Si è spenta l’allegria

Si è spenta l’allegria,
ma non quella televisiva,
quella delle parate
e delle celebrazioni patinate.

E’ la nostra allegria che si è spenta
quella che sapeva di goliardia,
a fare cazzate con gli amici
in serate meno angosciate

Ora l’allegria ce l’abbiamo negli occhi,
nelle vetrine, nei nostri balocchi:
allegria di circostanza, da dietro
il tavolo della presidenza.

Ci sono cartelli di divieto ovunque:
proibito proibire di proibire.
E’ tutto permesso, ma è proibita
l’allegria, quella vera, comunitaria.

Lavorare bisogna, è il vostro dirigente
che vi parla. Lavorare, lavorare.
E se c’è qualcosa che proprio
non bisogna fare è ridere in compagnia.


Contabilità esistenziale

La contabilità esistenziale
è come un’inflazione di parole
mentre la cronaca ci scuote
e noi ci tocchiamo il portafoglio.

La storia scorre sotto le dita,
tutt’al più un’occhiata distratta
al telegiornale della sera.
Con questo non voglio insinuare.

Solo che il mondo in fiamme
e le foto di città distrutte
si situano con spontanea
ferocia al centro della mente.


Un mondo insaziato

Il Dio dell’economia di mercato
in un mondo insaziato
e vagamente insensato
colpisce e si nasconde

in paradisi immanenti
o più prosaicamente fiscali.

Nell’illusionismo finanziario
la contabilità esistenziale

è come un’inflazione di parole
che svuota il mondo.

C’è pure chi ci ha guadagnato oggi:
il denaro è pura astrazione.

Il peggio è per chi ha ancora
qualche valore, mangiato dall’inflazione.

Qualcuno ha ordinato
per caso che si passi
da quelli economici
a nuovi sacrifici umani?


Indignata

Nel fango di una tenda indignata
e allagata a Piazza Santa Croce
in Gerusalemme una fanciulla
raccoglie in un diluvio di fulmini

le poche cose che le sono rimaste
e con esse gli ultimi brandelli
della propria dignità. Lo fa con la stessa
metodica malinconia dei suoi bisnonni

in trincea, dei suoi nonni resistenti,
cittadina di un paese, di uno stato,
di una nazione che paga il suo contributo
di sangue a rate al destino

per sentirsi viva, per non buttarsi via.
Fanciulla fragile e testimone
di una Rivoluzione democratica
partita come una marea e ridotta

a un rigagnolo di speranze soffocate.
Protagonista innamorata,
non conosce i giochi dei Big players,
dei Grandi giocatori delle banche

e della finanza che hanno
svuotato di senso la democrazia
ma li odia con lo stesso odio
di trecentomila pacifici indignati

che più di un pugno si sono presi
dai cultori della guerra per bande,
dagli esaltatori del gesto “eroico”
che incendia e stordisce (oltre

che da infiltrati e provocatori di ogni
risma). Entrambi – tranne questi ultimi-
testimoni di un disagio
ma non con la stessa coerenza:

gli uni nel fango, gli altri protetti
da chi nega categorie che loro stessi
si attribuiscono. Non basta
distribuire maalox zuccherati

tra i gas urticanti della polizia.
Ha fatto respirare, ma non ha bloccato
il rigurgito del passato.
Quella fanciulla fradicia e infangata.


Restare

Restare o andare,
tra mille discussioni;
Il più silenzioso
è quello che ha già deciso.

Il cielo è basso ,
ma non è bassa la testa.
Resta la voglia di cambiare
per non urlare.

Quelli che se ne vanno
considerano il futuro un destino,
con la fantasia di andare,
col matto desiderio di volare.

Noi che restiamo qui,
siamo orfani di quel destino.
Ogni tanto un viaggio
per non morire, ma poi torniamo.

Sai, per questo motivo
siamo un po’ nervosi.
Non vi chiediamo di starci vicino
ma almeno, lasciateci suonare.


Strade

Le strade eccitano,
anche al buio, anche con la nebbia,
si vede che eccitano,
a occhio nudo.

Speriamo che non se ne accorgano
potrebbe essere un problema.
Le strade sono libere e aperte

Dovresti prendere ispirazione
e dopo ne parliamo.
Su una strada che porta lontano.


Le luci della sera

E le parlo piano. A lei piace
raccontarmi i suoi sintomi,
minuziosamente, da esperta.
E sprofondare in se stessa.

Quando esagera con le dosi dice
che non riesce più a sognare,
vede soltanto un grande tunnel ne-
ro, interminabile, buio e profondo.

Le luci della sera ora entrano nella stan-
za, quiete e defilate ma troppo lontane.
Sono luci che non illuminano,
come parole che non dicono.



PARTE QUARTA

L’odore della guerra

L’odore della guerra

C’è un volto che ci interroga
da una foto scattata di fretta,
quello di una bambina siriana
con i suoi occhioni profondi.

Viene da una guerra maledetta.
Al massimo le forniremo
gli elementi minimi di un’accoglienza,
per non farci sentire in colpa.

Quella bambina arriva
da una grande civiltà implosa.
Non ci sta chiedendo nulla,
ci guarda soltanto.

Non sappiamo cosa sia una guerra,
la vediamo solo in televisione,
lei l’ha subita dalla nascita
tra le macerie della sua terra.


Il pianto delle madri

Accarezzare la carne della sua carne
straziata dalla violenza, cullare
il corpo senza vita di un figlio straziato
è il primo passo all’inferno per una madre.

Non ci può essere nulla, niente
che riscatti quella sofferenza.
Con quel figlio muore anche la giustizia.
E’ una condanna intrisa di veleno.

Li trattiamo come nemici
di un esercito in guerra.
Ci stiamo esercitando
in un odio programmato

che provocherà altri lutti.
Temiamo la violenza
che starebbero covando
i migranti e siamo convinti

delle nostre convinzioni.
Ci siamo sostituiti a Dio,
siamo diventati giudici supremi,
senza processo, come un’esecuzione.

Molti di loro sono solo bambini.
Il pianto delle madri
non potrà lenire quel lamento,
sanare quell’immenso dolore.


Mediterraneo

Questo era il nostro mare,
l’acqua benigna
che ha nutrito la nostra
infanzia mediterranea.

Ora non si sa più di chi sia,
a chi appartenga questo mare
trasformato
in un regno dei morti.

Fanno impressione e orrore
le dichiarazioni sciacalle
e la retorica della violenza
della maggior parte dei politici,

i titoli bastardi dei giornali,
il sapore amaro dei reportage
sulla “pioggia di fuoco”
degli aerei francesi su Raqqa.

Fanno orrore, appena un po’ meno
di quei morti viventi
che hanno sparato a Parigi.
Ma solo un po’.


Bambini soldato

Se trecentomila vi sembran poco
considerate che sono minori
e se per i capi è altissima la posta,
per i bambini soldato sembra un gioco.

Oggi un bambino di 10 anni può usare
un AK-47 come un adulto,
visto che è un’arma automatica e leggera
e come un adulto sparare e ammazzare.

Più docili all’indottrinamento,
i ragazzi non chiedono compenso
e più facilmente di un adulto
scivolano in un gioco violento.

Affrontano il pericolo con incoscienza
totale, attraversando campi minati
o intrufolandosi nei territori nemici
con la spavalderia dell’adolescenza.

Ma gioco non è, se e quando tornano a casa,
malati, depressi, imbottiti di farmaci,
con ricordi atroci e micidiali incubi.
Dell’infanzia hanno fatto tabula rasa.



PARTE QUINTA

Poesia corale

La prima stella

La prima stella
avvolta in un poetico chiarore
si pavoneggia e si fa bella
brilla di cielo e di infinito altrove.

I suoni della notte

I suoni della notte
hanno qualcosa della musica
e qualcosa della casualità
del rumore.

Segnano lo spazio,
scandiscono il tempo,
sono come un’eco
della giornata trascorsa.

Amici che ci trattengono
dall’entrare troppo in profondità
in noi stessi. Ci accudiscono come
cani fedeli. Il silenzio non esiste.

Una musica senza nome

Le parole fuori circuito,
quelle che non servono più,
senza funzione,
di puro piacere,

di duemila anni
o di dieci minuti appena,
si alzano come
lucciole incantate

su per la collina e formano
a quest’ora una costellazione
di pura bellezza,
una musica senza nome.

Il sole

Il sole come una fanciulla
alla prima uscita.
Sbatte le ciglia
si inebria di sé.


COMMIATO

La grande rete

Impigliati nella grande rete
esploriamo la quarta dimensione,
dove l’apparenza si mischia
alla realtà in mille posizioni.

Chorus

Leniamo le ferite,
ordiamo tradimenti.
Basta cliccare
per farsi evidenti.

La grande rete si tesse da sola,
sembra un gioco e scatena rivolte;
la tenebrosa rete acceca e salva.

La Grande Rete accelera la storia,
sfuma la distinzione tra il sublime
e il banale ma non ce ne accorgiamo.

Chorus

Leniamo le ferite,
ordiamo tradimenti.
Basta cliccare
per farsi evidenti.



Categories: Z20- [OPERE POETICHE - POETIC WORKS], Z70- [LOST ORPHEUS ENSEMBLE]

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