Il suono: 1. L’onda sonora
Suoni o rumori?
Nei seguenti paragrafi abbiamo prodotto alcuni esempi acustici per cercare di mettere alla prova la tradizionale distinzione tra suono e rumore.
Tre “Pezzi” facili
In molte trattazioni elementari del problema si afferma che ciò che sembra caratterizzare il suono rispetto al rumore è la sua descrizione in termini di un’onda periodica. Lo spettrogramma deve contenere solo suoni puri di frequenza multipla di una frequenza fondamentale. Di seguito sono illustrati grafici di onde periodiche e non, con i relativi spettrogrammi e il corrispondente sonoro (clicca sulle immagini per ingrandirle, e sul file audio per ascoltarlo. Se vuoi maggiori informazioni su come si legge uno spettrogramma visita questa pagina con le istruzioni)
Grafico | Spettogramma | Audio |
---|---|---|
AUDIO: clicca qui per ascoltarepuro_220_Hz.wavSuono puro (sinusoide) a 220 Hz. | ||
AUDIO: clicca qui per ascoltaretriangolo_220_Hz.wavOnda triangolare con fondamentale a 220 Hz. | ||
AUDIO: clicca qui per ascoltarerumore_bianco.wavRumore bianco (spettro uniforme). |
Innanzitutto notiamo che non ogni suono associato ad un’onda periodica è “gradevole” (molti ascoltatori trovano fastidiosi la sinusoide e l’onda triangolare, e, certamente, aldilà del giudizio soggettivo di gradevolezza, essi risultano “oggettivamente” noiosi). Se ci limitiamo a questi esempi, però, sembra confermata l’associazione più elementare: ad un’onda periodica si associa un’altezza ben definita, mentre al rumore bianco non sembra possibile attribuirla. Per esempio non sembra avere senso chiedersi se esso è più o meno acuto della sinusoide. Per mettere alla prova la definizione dobbiamo tuttavia considerare qualche esempio più complesso.
“Pezzi” meno facili
La questione è un po’ più complessa. Anche prescindendo dal giudizio estetico dei suoni ottenuti, la periodicità dell’onda non è condizione sufficiente per chiamare suono ciò che udiamo. Infatti non è detto che all’interno delle frequenze udibili onde periodiche generino necessariamente suoni. Prova ad ascoltare l’esempio AUDIO di seguito riportato
Grafico | Spettrogramma | Audio |
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AUDIO: clicca qui per ascoltarebattimenti_220_245_Hz.mp3Sovrapposizione di due suoni puri a 220 e 245 Hz |
Pur in presenza di un’onda periodica (il grafico non lascia dubbi) penso tu faccia fatica a chiamare suono ciò che hai udito. Hai ascoltato quello che in acustica si chiama un battimento. In questo caso la sensazione di rumore (pur in presenza di onde periodiche) è dovuta ad un fatto percettivo: il nostro sistema uditivo viene “confuso” se investito da suoni di frequenze troppo vicine, e, incapace di discriminare la loro altezza, percepisce un suono di altezza intermedia, ma dal carattere “ruvido”, rumoroso, appunto. Ecco come suonano le due componenti prese isolatamente (se vuoi approfondire il discorso visita la pagina relativa alle bande critiche e ai battimenti)
AUDIO: clicca qui per ascoltarepuro_220_Hz.mp3Suono puro a 220 Hz | AUDIO: clicca qui per ascoltarepuro_245_Hz.mp3Suono puro a 245 Hz |
Il “rumore armonico”
È facile accorgersi che la periodicità (esatta) non è nemmeno condizione necessaria per distinguere il suono dal rumore. Ciò per due ordine di motivi:
- il sistema percettivo sembra tollerare piccole deviazioni dalla periodicità (se sei interessato ad approfondire la questione visita la pagina sulla percezione dell’altezza);
- nessun suono ha una forma d’onda esattamente periodica. Una funzione periodica è qualcosa di dato da sempre e per sempre, mentre il suono è qualcosa che nasce, evolve nel tempo e muore. D’altronde quale sensazione di noia ci comunicherebbe un suono perennemente uguale a se stesso!
- Certamente se nel fenomeno sonoro non è presente, nemmeno lontanamente, nessuna periodicità si parla di rumore. In questo caso, l’onda sonora ha contenuto spettrale costituito da suoni di qualsivoglia frequenza ed altezza.
È infatti possibile produrre esempi di onde non periodiche che il nostro orecchio considera un suono gradevole e consonante come questo:
Grafico | Spettrogramma | Audio |
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AUDIO: clicca qui per ascoltarerumore_armonico_2.wavRumore armonico. Bande attorno a Do2 Do3 Mi♭4 Sol4 Si♭4 Do5. Larghezza di ciascuna banda 2 Hz. | ||
AUDIO: clicca qui per ascoltarerumore_armonico_10.wavRumore armonico. Bande attorno a Do2 Do3 Mi♭4 Sol4 Si♭4 Do5. Larghezza di ciascuna banda 10 Hz. | ||
AUDIO: clicca qui per ascoltarerumore_armonico_20.wavRumore armonico. Bande attorno a Do2 Do3 Mi♭4 Sol4 Si♭4 Do5. Larghezza di ciascuna banda 20 Hz. | ||
AUDIO: clicca qui per ascoltarerumore_armonico_40.wavRumore armonico. Bande attorno a Do2 Do3 Mi♭4 Sol4 Si♭4 Do5. Larghezza di ciascuna banda 40 Hz. | ||
AUDIO: clicca qui per ascoltarerumore_armonico_100.wavRumore armonico. Bande attorno a Do2 Do3 Mi♭4 Sol4 Si♭4 Do5. Larghezza di ciascuna banda 100 Hz. |
Il rumore armonico si ottiene sovrapponendo diverse bande di rumore bianco, ciascuna centrata su un multiplo intero della frequenza fondamentale prescelta. Quando le bande sono idealmente strettissime lo spettro diventa identico a quello di un suono gradevole, mentre quanto più le singole bande sono larghe, tanto più sopravviene il carattere di rumore. In tutti i casi l’onda sonora risultante possiede componenti periodiche, ma in senso stretto non è mai esattamente periodica, perché una componente casuale è sempre presente, tranne che nel limite di bande infinitamente strette.
Il rumore armonico sembra svelare una caratteristica fondamentale della percezione che convoglia l’informazione sul grado di consonanza o gradevolezza di un’onda sonora. Questa informazione è di valore inestimabile per i musicisti. Si vedano a tale proposito le pagine armonia e suoni armonici e consonanza e dissonanza).
Tipi di rumore
La parola “rumore” nel linguaggio quotidiano indica qualcosa di indistinto e caotico. Tuttavia in ambito scientifico diversi tipi di rumore possono essere quantitativamente caratterizzati studiandone il contenuto spettrale. La classificazione del rumore è di fondamentale importanza nello studio di tutti quei segnali che contengono delle componenti casuali, e trova massiccio impiego nella tecnologia del suono, come è illustrato nel paragrafo che segue.
Rumore bianco
In analogia alla luce bianca che è formata dalla sovrapposizione di onde elettromagnetiche di tutte le frequenze visibili, se un rumore è costituito da uno spettrogramma sostanzialmente “piatto” con onde di tutte le frequenze e di intensità simile ad ogni frequenza, esso si dice rumore bianco. Il rumore bianco, ricco di alte frequenze suona “stridulo”, ha un eccesso di brillantezza che ci infastidisce. Se vuoi ascoltarne un esempio clicca il file audio qui sotto.
AUDIO: clicca qui per ascoltarerumore_bianco.wavRumore bianco |
Osserva l’estensione dello spettro su tutte le frequenze con ampiezza (ricorda che l’intensità è proporzionale al quadrato dell’ampiezza) variabile ma, in media, costante sulle varie regioni dello spettro. Una precisazione: l’applet è programmato solo per generare suoni aventi frequenza multipli della fondamentale; quello che ascolti non è quindi un vero rumore bianco che dovrebbe contenere l’intera gamma di frequenze. La resa come rumore è assicurata dal fatto che, come spiegato nella pagina relativa, creando un’onda periodica per sovrapposizione di onde di frequenza (e quindi periodi diversi), il periodo complessivo dell’onda è il minimo comune multiplo dei periodi coinvolti. Per un tale insieme di onde, tale periodo è così elevato che
- a livello percettivo non riusciamo a cogliere nessuna sensazione di ripetizione (il periodo è troppo elevato)
- a livello “grafico la forma d’onda associata al finto rumore bianco non ci sembra avere nessuna caratteristica di periodicità (che pure, su tempi lunghi, possiede).
Rumori colorati
Esistono vari tipi di rumore detti colorati caratterizzati dal fatto di avere alcune componenti dello spettro prevalenti sulle altre. Ad esempio ricordiamo:
- rumore rosa che ha una prevalenza dell’ampiezza (e quindi dell’intensità) delle armoniche a bassa frequenze. Esso può essere ottenuto dal rumore bianco con un’apposita azione di filtro delle alte frequenze. Il rumore rosa spesso viene costruito assegnando le seguenti regole (è un po’ un ossimoro assegnare regole per costruire un evento casuale come il rumore):
- l’intensità decresce nel passaggio da un’ottava all’altra come l’inverso della frequenza. Ciò significa che essa dimezza nel passaggio da un’ottava all’altra (in scala logaritmica ciò equivale ad una attenuazione di 3 dB).
- l’andamento in intensità all’interno di un’ottava è riprodotto per ogni ottava.
Sembra che il rumore così costruito abbia proprietà rilassanti assomigliando a molti rumori naturali (la pioggia, le cascate d’acqua, ecc…): addirittura esistono CD di rumore rosa!!
Puoi provare a costruire con l’applet Fourier il rumore rosa facendo varie le ampiezze di 1.5 dB di modo che l’intensità, proporzionale al quadrato dell’ampiezza, vari di 3 dB per ottava. La prima ottava è rappresentata solo da un’armonica, la seconda da due, la terza da quattro, la quarta da otto, ecc. Riscontrerai che il risultato è molto deludente: il fatto che l’ulteriore regolarizzazione introdotta (oltre a quella del software stesso) non ci permette di avvicinarci troppo dalla “casualità” che un rumore, seppur rosa, deve avere.
Il rumore rosa trova comunque applicazione anche negli ambienti di registrazione per “rinvigorire” il suono a basse frequenze; a tali frequenze infatti il nostro orecchio soffre di calo di prestazioni (visita a tal proposito la pagina relativa alle curve isofoniche)
AUDIO: clicca qui per ascoltarerumore_rosa.wavRumore rosa |
- rumore marrone
In questo genere di rumore vi è un’accentuazione ancora maggiore, rispetto al rumore rosa, della presenza di basse frequenze. L’intensità decresce, da un’ottava all’altra, come l’inverso del quadrato della frequenza (cioè con un attenuazione, in scala logaritmica, di 6 dB). Il rumore marrone assomiglia ad un rombo di tuono.
AUDIO: clicca qui per ascoltarerumore_marrone.wavRumore marrone |
- rumore rosso
Un’ulteriore accentuazione (senza regole matematiche precise come per il rumore rosa e marrone) della presenza di basse frequenze determina il rumore rosso. Esso suona come un rimbombo molto basso (un treno che passa nel metrò, il rumore di un motore che fa vibrare, per risonanza, le pareti di una stanza) e si colloca alla soglia in inferiore delle frequenze udibili. E’ molto utilizzato nell musica elettronica e nella musica da “film”.
- rumore blu
Questo rumore è praticamente il complementare del rumore rosa. Esso mostra una prevalenze delle altezze frequenze con un incremento delle intensità di 3dB per ottava. Ovviamente esso viene ottenuto con un azione di filtro delle basse frequenze. Suona come una sorta di sibilo, stridulo e artificiale.
- rumore violetto
È il complementare del rumore marrone con una forte prevalenze dell’intensità delle alte frequenze. L’intensità cresce di 6 dB per ottava. L’effetto sibilante è ancora più fastidioso che nel rumore blu.
Cos’è l’energia sonora o energia acustica
Il suono è un’onda e, come tale, trasporta l’energia prodotta dalla sorgente. Dunque l’energia sonora o energia acustica è l’energia emessa da una sorgente sonora che si propaga nello spazio circostante. Tale energia si dimostra essere proporzionale al quadrato dell’ampiezza dell’oscillazione.
A un certo punto l’onda sonora può investire un “ricevitore” (la membrana del timpano, un microfono, ecc.) e in questo caso l’energia dell’onda viene, in parte riflessa ed in parte trasferita ad esso. La frazione di energia trasferita al “ricevitore” dipende da una grandezza fisica detta impedenza che misura l’efficienza della trasmissione. In particolare se il mezzo che trasporta l’energia e il “ricevitore” presentano la stessa impedenza (si dice che in questo caso si è nella situazione di adattamento di impedenza), l’energia viene trasferita con la massima efficienza. Il trasferimento di energia può avere effetti eclatanti:
- una cantante può rompere i bicchieri con la voce;
- un aereo che decolla può infrangere i vetri di una finestra;
- il rumore di uno sparo può ledere la membrana del timpano di un orecchio;
- o più semplicemente, tramite il nostro sistema uditivo, esso ci permette di udire.
Cos’è la potenza di una sorgente sonora?
Per potenza di una sorgente sonora o potenza acustica si intende la quantità di energia emessa da una sorgente sonora nell’unità di tempo. In formula, la potenza è data quindi dal rapporto tra l’energia E emessa e il tempo t impiegato per l’emissione, cioè
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Nel sistema internazionale la potenza si misura quindi in joule/s; a tale unità di misura è stato dato il nome di watt con simbolo W.
In realtà il rapporto (1) fornisce la potenza media sull’intervallo di tempo di durata t; se si vuole la potenza “istantanea” occorre calcolare la potenza media considerando intervalli di tempo Δt infinitesimi, al limite tendenti a zero. In formule (i lettori esperti riconosceranno la definizione di derivata rispetto al tempo della funzione energia P = E(t)),
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Quanta energia sonora “cattura” un ricevitore?
L’energia irradiata da una sorgente sonora si propaga, a seconda della geometria della sorgente e del tipo di emissione, secondo direzioni ben definite. L’informazione relativa alle direzioni di propagazione dell’energia può essere ben rappresentata in termini di fronti d’onda i quali ricalcano la simmetria della sorgente. Si distinguono, nei casi più semplici
- fronti d’onda sferici
si parla in questo caso di campo sonoro libero o sferico. Tale situazione si verifica nel caso di sorgenti puntiformi, o comunque di dimensioni molto minori della lunghezza d’onda emessa (vedi diffrazione del suono) e di propagazione dell’onda in un mezzo libero da ostacoli ed isotropo (cioè con caratteristiche fisiche indipendenti dalla direzione di propagazione). In questo caso se calcoliamo il flusso di energia emessa (cioè l’energia che passa attraverso una area unitaria a distanza r dalla sorgente) essa dovrà decrescere come 1 / r2 dovendo attraversare superfici che invece crescono come il quadrato della distanza. Ricordiamo che la superficie di una sfera di raggio r è data da
- fronti d’onda cilindrici
Se la sorgente sonora ha una simmetria cilindrica (ad esempio una lunga fila di automobili in colonna) ci aspettiamo che il flusso di energia emessa decresca come l’inverso della distanza dovendo attraversare superfici la cui area aumenta linearmente con la distanza dalla sorgente. Ricordiamo che la superficie laterale di un cilindro di altezza h e raggio r vale
- fronti d’onda piani
Se la sorgente sonora è piana (teoricamente un piano infinito) il fronte d’onda è tale che il flusso di energia attraverso un piano parallelo alla sorgente rimane, se si eccettuano fenomeni di assorbimento nel mezzo, costante.
Essendo l’energia (e quindi il flusso) direttamente proporzionale al quadrato dell’ampiezza dell’onda ciò significa che anche l’ampiezza dell’oscillazione si smorza con l’aumentare della distanza della sorgente e questo indipendentemente dalla presenza di fenomeni di assorbimento.
tipo di onda | flusso di energia | ampiezza |
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sferiche | ![]() | ![]() |
cilindriche | ![]() | ![]() |
piane | costante | costante |
La rapidità con cui il flusso di energia sonora decresce con l’aumentare della distanza ha importanti conseguenze:
- Se il ricevitore (ad esempio il timpano del nostro orecchio) ha area costante, l’energia acustica che esso in grado di catturare dipenderà fortemente dalla distanza: in ambienti aperti l’ampiezza delle onde sonore emesse da sorgenti di estensione modesta (es. strumenti musicali) si smorza molto rapidamente (questo anche in assenza di fenomeni di assorbimento).
- in ambienti aperti le onde sonore emesse da sorgenti puntiformi si smorzano molto più rapidamente rispetto a quelle emesse da sorgenti a simmetria cilindrica o piana. Ad esempio se vi è un martello pneumatico (che possiamo paragonare ad una sorgente sonora puntiforme) in funzione in una strada con una lunga fila di automobili in colonna a motore acceso, ad una certa distanza dalla strada, percepiremo il rumore di fondo dei motori delle automobili ma non il martello pneumatico. Avvicinandoci alla strada inizieremo a sentire anche il rumore del martello pneumatico emergere dal rumore di fondo delle automobili. Il motivo è semplice: quando riduciamo la distanza dalla strada (ad esempio della metà) l’energia sonora percepita generata dal martello pneumatico aumenta di quattro volte mentre quella dovuta alle automobili solo del doppio.
- in ambienti chiusi (ad esempio un auditorium) la drastica riduzione dell’energia sonora con l’aumentare della distanza dovrebbe penalizzare fortemente gli spettatori delle ultime file. Considerando, ad esempio, un solista di pianoforte come una sorgente puntiforme, uno spettatore distante 50 metri dal palco dovrebbe ricevere un’energia sonora di 100 volte inferiore rispetto ad uno spettatore distante 5 metri. Ciò in realtà non succede. Come mai? Il fatto è che negli ambienti chiusi l’energia sonora viene riflessa dalle pareti: ciò che percepiamo non è solo il suono diretto che ci proviene dal palco ma anche il suono riflesso.
- Il fenomeno della riflessione può essere utilmente sfruttato anche in ambienti aperti per garantire un significativo contributo di energia riflessa al campo sonoro percepito: negli anfiteatri romano una parete piana posta dietro alla scena garantiva la riflessione di un’onda quasi piana (quindi lentamente smorzantesi con la distanza)
Fenomeni di assorbimento
Tutto il ragionamento precedente è stato sviluppato attribuendo la diminuzione del flusso di energia sonora allo “sparpagliamento” dell’energia su fronti d’onda di superficie sempre più ampia. Nelle situazioni reali, soprattutto in ambienti aperti o in ambienti chiusi sufficientemente ampi, non è più possibile trascurare la perdita di energia sonora dovuta alla sua parziale conversione in calore. Tale conversione avviene nei processi di vibrazione delle molecole d’aria necessari per il trasferimento della perturbazione sonora ed è dovuta a forze di tipo viscoso che si oppongono allo scorrimento delle molecole del fluido nella direzione di propagazione dell’onda. L’attenuazione del flusso di energia sonora dovuta all’assorbimento atmosferico può essere quantificata tramite un opportuno coefficiente numerico detto impedenza caratteristica. Esso è di solito proporzionale alla densità dell’aria e alla velocità del suono nel mezzo. In modo indiretto l’impedenza caratteristica dell’aria viene quindi a dipendere da tutti i fattori “meteorologici” in grado di modificarne la densità: | ![]() |
- dalle condizioni di umidità dell’aria (l’aria umida contiene un gran numero di molecole d’acqua che ne diminuiscono la massa molecolare media e quindi la densità).
- dalla temperatura dell’aria (l’aria calda è meno densa dell’aria fredda e quindi la temperatura elevata fa diminuire la massa molecolare media per unità di volume).
- dalla frequenza dell’onda sonora. In particolare le onde a più elevata frequenza vengono assorbite con maggiore facilità. Un conseguenza spettacolare di tale fatto è la modifica del timbro dell’onda sonora emessa da un tuono quando viene percepita da lontano: la sua intensità sonora è debole a causa dell’attenuazione prodotta dalla distanza discussa del paragrafo precedente, ma soprattutto essa suono come un “rombo” costituita com’è da frequenza molto basse, le uniche sopravvissute all’assorbimento atmosferico.
È facile fare interferire due suoni?
Come spiegato nella pagina sull’interferenza si riserva il termine “interferenza” al caso di una sovrapposizione tra onde che avvenga con le seguenti modalità:
- le onde che si sovrappongono sono onde periodiche di uguale frequenza (ed eventualmente ampiezza);
- le sorgenti delle onde oscillano in fase, cioè in modo perfettamente sincrono, o comunque con uno “sfasamento” noto;
- quando si parla di interferenza costruttiva (o distruttiva) ci si riferisce sempre all’interferenza totalmente costruttiva (o distruttiva);
Sotto tali ipotesi il fenomeno di interferenza avviene in modo che, fissato un punto nello spazio, esso è sede di interferenza sempre costruttiva, o sempre distruttiva, in modo invariante nel tempo.
In definitiva il problema principe dell’interferenza è di stabilire, note le posizioni delle sorgenti, le frequenze di oscillazione e gli eventuali sfasamenti, se un dato punto dello spazio è sede di interferenza costruttiva o distruttiva. Se invece anche una sola delle ipotesi viene a mancare, l’interferenza si complica e le onde si sovrappongono senza produrre regolarità facili da analizzare quantitativamente.
Nel caso delle onde sonore è molto difficile ottenere sorgenti aventi le caratteristiche sopra descritte e mantenere per un tempo sufficientemente lungo (per poter compiere osservazioni) le condizioni di interferenza distruttiva o costruttiva. Tale difficoltà sperimentale fu superata da un’osservazione di Herschel che ebbe l’idea di far interferire due onde provenienti dalla stessa sorgente facendole sovrapporre dopo aver loro imposto di percorrere cammini diversi.
Il tubo di Quincke: un dispositivo che mostra l’interferenza sonora
L’idea di Herschel fu sviluppata da Quincke e perfezionata da König in una versione che consentiva di realizzare esperimenti di interferenza con grande facilità. Nel tubo di Quincke:
- Un suono puro emesso da un diapason ad una certa frequenza, entra in un tubo che presenta una diramazione ad U e si distribuisce nella parte superiore e inferiore di tale diramazione. Una delle due parti è di lunghezza variabile, cioè il tubo che la costituisce può essere allungato ed accorciato (un po’ come la coulisse del trombone). Le due diramazioni si ricongiungono poi in unico tubo di uscita. Si veda l’immagine [1] a lato.
- Se all’uscita viene posto un microfono, si osserva che, facendo variare la lunghezza della diramazione mobile, esso rileva un’intensità sonora che presenta massimi e minimi.
- Cosa sta accadendo? Variando, tramite la parte mobile (la “coulisse”), la differenza dei cammini percorsi, le onde sonore nelle due diramazioni si sfasano con continuità; nel momento in cui la differenza di cammini è uguale ad un multiplo della lunghezza d’onda si osserva un rinforzo del suono in uscita: siamo in condizioni di interferenza costruttiva. Continuando a muovere la coulisse possiamo far sì che la differenza dei cammini sia pari ad un multiplo dispari di una semi-lunghezza d’onda; il suono in uscita si indebolisce fino a sparire: siamo in condizioni di interferenza distruttiva.
- In alternativa le condizioni di interferenze costruttiva e distruttiva posso essere evidenziate tramite capsule manometriche (di invenzione di König) capaci di convertire la variazione di pressione sonora dell’aria nella variazione dell’altezza di una fiammella poste all’uscita dei singoli tubi e all’uscita comune. In condizioni di interferenza costruttiva si nota un rinforzo dell’ampiezza della fiammella all’uscita comune; in condizioni di interferenza distruttiva l’ampiezza di tale fiammella diminuisce bruscamente, mentre le due fiammelle poste all’uscita dei singoli tubi modificano la loro ampiezza in modo alternato (ciò può essere verificato con un sistema di specchi rotanti che consentono di amplificare la vibrazione in ampiezza della fiammella): ciò indica che le due onde sono sfasate di un multiplo dispari di una semi-lunghezza d’onda
Cosa si può misurare con un tubo di Quincke?
L’apparato di Quincke permette di ricavare indirettamente, tramite misure di lunghezza e di intensità sonora:
- la lunghezza d’onda del suono emesso dal diapason: essa infatti si ottiene semplicemente misurando la lunghezza del ramo variabile che si è dovuto aggiungere per passare da una condizione di interferenza costruttiva (massima intensità sonora) ad una di interferenza distruttiva (minima intensità) sonora e moltiplicando per due la misura ottenuta;
- la velocità del suono in aria: la frequenza della nota emessa dal diapason è la stessa dell’onda di pressione che si propaga all’interno del tubo (osserva che nell’interfaccia metallo del diapason-aria, ciò che cambia è la lunghezza d’onda e non la frequenza). Moltiplicando tale frequenza per la lunghezza d’onda misurata nel modo sopra descritto otterremo una stima della velocità del suono in aria.
- la velocità del suono in un gas qualunque: ciò si ottiene semplicemente modificando il tipo di gas contenuto nel tubo di Quincke. È interessante osservare che un semplice dispositivo come il tubo di Quincke abbia permesso la soluzione di un annoso problema sperimentale: quello della misura della velocità del suono. A questo proposito visita la pagina relativa alla velocità del suono dove troverai l’ingegnoso metodo escogitato da Newton (circa duecento anni prima) per misurare tale velocità. L’apparato sperimentale di Newton era però decisamente più ingombrante: egli ha avuto bisogno di un portico di 65 m di lunghezza!
Un interferometro a riflessione: il tubo di Kundt
L’idea alla base del funzionamento del tubo di Kundt è di sfruttare il fenomeno della riflessione del suono per far interferire le onde sonore (generate da un disco di plastica vibrante) e le onde riflesse dall’estremità del tubo (aperta o chiusa). L’apparato sperimentale consiste
- di una sbarra di metallo recante all’estremità un disco di plastica di massa trascurabile;
- di un morsetto per fissare il centro della sbarra di metallo e vincolare tale punto ad essere un nodo dell’oscillazione della sbarra;
- di un tubo di vetro in cui far scorrere il disco di plastica in modo da modificare la “lunghezza efficace” del tubo;
- di polvere a grana fine sparsa all’interno del tubo di vetro con la funzione, seguendo le variazioni di pressione sonora all’interno del tubo, di depositarsi in prossimità dei nodi di oscillazione.

Per eseguire concretamente l’esperienza occorre seguire i seguenti passi:
- per prima cosa si strofina la sbarra con un panno intriso di resina in modo da eccitarne le onde longitudinali;
- tali oscillazioni, comunicate al leggero disco di plastica, fanno sì che esso agendo da stantuffo sull’aria contenuta nel tubo, generi un’onda sonora longitudinale (vedi illustrazione a lato);
- facendo scorrere il disco di plastica avanti ed indietro si ricerca la posizione in cui nel tubo inizia a comparire un’onda stazionaria: ciò è rilevato dal fatto che la polvere fine inizia a depositarsi in punti ben precisi ed equidistanti tra loro (sono i nodi in cui vi è assenza di oscillazione);
- misurando la distanza tra due nodi successivi è possibile risalire alla lunghezza d’onda dell’onda stazionaria e verificare che valgono le condizioni di quantizzazione descritta nella pagina riflessione del suono.
L’informazione relativa alla lunghezza d’onda può essere sfruttata in due modi:
- assumendo come nota la velocità del suono in aria (misurata per altra via) è possibile ovviamente risalire alla frequenza dell’onda stazionaria e quindi alla frequenza di oscillazione longitudinale della sbarra, che è ovviamente la stessa (ricorda che la frequenza non cambia nell’interfaccia disco di plastica-aria!). Ricordando poi che la frequenza fondamentale di oscillazione f0 di una sbarra longitudinale di lunghezza L e densità ρ è data da
la conoscenza di f0 può servire a valutare il modulo di Young del materiale di cui è fatta la sbarra.
- assumendo invece come note le frequenze proprie della barra (e quindi delle oscillazioni longitudinali dell’aria) è possibile risalire, di nuovo, alla velocità del suono.
Doppio tubo di Kundt
Modificando opportunamente il tubo di Kundt è possibile misurare un altro parametro importante per la determinazione della velocità del suono: il coefficiente adiabatico γ cioè il rapporto delle capacità termiche molari a pressione e volume costante dei vari gas. L’apparato sperimentale è modificato nel modo seguente:
- due tubi di Kundt sono interfacciati in modo da creare due cavità contenenti gas diversi (ad esempio aria ed anidride carbonica CO2;
- i tubi sono collegati dalla solita sbarra che opportunamente eccitata diverrà sede di onde longitudinali; la sbarra è fissata da due sostegni posti agli estremi dei tubi (che dovendo essere nodi imporrano alla sbarra il secondo modo di vibrazione longitudinale) a distanza L/4 dagli estremi della sbarra;
- la sbarra comunica le proprie oscillazioni ai gas contenuti nella cavità mediante il solito disco di plastica;
- la lunghezza delle cavità viene variata facendo scorrere i due tubi laterali fino a quando la formazione dei mucchietti di polvere indica la nascita di onde stazionarie.

Misurando la distanza dei mucchietti di polvere (nodi) possiamo risalire alla lunghezza d’onda sia in aria che in anidride carbonica. Essendo la frequenza delle onde stazionarie nelle due cavità la medesima (sono eccitate dalla medesima sbarra! ) possiamo scrivere
da cui, ricordando (si veda la pagina velocità delle onde meccaniche) che la velocità del suono in un gas è data da
e che la pressione dei due gas (quella atmosferica non quella dovuta all’onda sonora!) può considerarsi identica, possiamo scrivere
Kundt[2] misurò il rapporto.
Sapendo che
e
egli riuscì quindi a misurare il coefficiente adiabatico per l’anidride carbonica trovando:Riflessione dell’onda sonoraTutti conosciamo, per averlo sperimentato direttamente, il fenomeno della riflessione del suono: il fenomeno dell’eco, la particolare acustica di una stanza o di una sala da concerto, la possibilità di abbattere il rumore (si pensi alle barriere o a certi asfalti fono-assorbenti nelle strade di grande traffico), persino la capacità di un pipistrello (o di un sottomarino) di rilevare la presenza di un ostacolo, sono conseguenze di tale fenomeno (o del suo effetto complementare, cioè l’assorbimento del suono).Quando avviene il fenomeno della riflessione?La risposta, a prima vista ovvia, è che la riflessione dell’onda sonora avviene quando essa incontra un ostacolo.Tale affermazione è troppo semplicistica per due ordini di motivi:
- la presenza di un ostacolo non è di per sé condizione sufficiente a garantire la presenza di un apprezzabile fenomeno di riflessione sonora. Come ben illustrato nella pagina relativa alla riflessione, per il verificarsi della riflessione, gioca un ruolo fondamentale la dimensione relativa dell’ostacolo rispetto alla lunghezza d’onda dell’onda sonora: il fenomeno della riflessione è significativo solo se la dimensione dell’ostacolo è molto maggiore della lunghezza d’onda dell’onda sonora che incide su di esso. Ovviamente nel caso in cui l’ostacolo circondi completamente la sorgente sonora (si pensi ad esempio alle pareti di una sala da concerto, all’interno della quale sta suonando un’orchestra) è ovvio che il fenomeno della riflessione è importante (l’onda sonora è impossibilitata ad “aggirare” l’ostacolo) e dipende ovviamente dalle proprietà di riflessione e di assorbimento del materiale di cui sono fatte le pareti. Nella progettazione di ambienti aventi determinate caratteristiche acustiche è della massima importanza tener conto del fenomeno della riflessione (anche multipla) che il suono subisce a causa della presenza delle pareti. Non si deve pensare che il problema possa essere semplicemente risolto cercando di limitare (tramite materiali fonoassorbenti) il fenomeno della riflessione: l’effetto inimitabile, anche dai più fedeli apparecchi di riproduzione, che crea la “musica dal vivo” è in larga parte dovuto alla presenza di riflessioni “controllate” che arricchiscono il suono che ci proviene direttamente dagli strumenti degli esecutori.
- la presenza di un ostacolo non è nemmeno condizione necessaria per la presenza del fenomeno della riflessione. L’onda riflessa può originarsi anche in presenza di variazioni delle caratteristiche fisiche del mezzo di propagazione dell’onda (riassunte nel concetto di impedenza) senza che vi sia necessariamente la presenza di un ostacolo, normalmente inteso. Ad esempio la “geometria” degli strumenti musicali a fiato è finalizzata alla formazione di onde riflesse all’interno dello strumento, necessarie alla generazione di quelle onde stazionarie responsabili della produzione dei suoni. Nel caso di tali strumenti la variazione di impedenza (all’origine delle onde riflesse) è dovuta alla diversa pressione dell’aria esistente nella cavità orale dello strumentista, nell’interno della canna e appena all’esterno della canna. Tali aspetti sono approfonditi nel paragrafo seguente e nelle pagine relative alla fisica degli strumenti musicali e all’adattamento di impedenza.
Se vuoi vedere la formazione di onde riflesse con queste modalità, visita il laboratorio virtuale.
Come si genera l’onda riflessa?
Il meccanismo di riflessione dell’onda sonora è analogo a quello della riflessione nelle corde anche se per il suono l’interazione con il “vincolo”, rappresentato dalla parete dell’ostacolo o da una brusca variazione di impedenza del mezzo, è più difficile da descrivere in modo semplice. Innanzitutto distingiuiamo i due casi:
Riflessione dell’onda sonora da una parete o dall’estremità di una canna chiusa
Cosa succede quando l’onda sonora, cioè l’onda di compressione longitudinale presente nel mezzo (che assumeremo essere aria) raggiunge, in certo istante, una parete propriamente detta o l’estremità di una canna chiusa? In prossimità della parete le molecole dell’aria non possono più oscillare longitudinalmente, cioè parallelamente alla direzione di propagazione dell’onda:
- si crea un nodo nell’ampiezza dell’onda longitudinale, analogamente a quanto accade all’estremo vincolato di una corda;
- per quel che concerne la pressione, invece, la presenza della parete determina la massima variazione possibile in quanto l’impossibilità di oscillare longitudinalmente delle particelle produce un repentino aumento di densità (e quindi) della pressione dell’aria. La presenza della parete produce, per reazione, un brusco abbassamento della pressione (le particelle rimbalzano indietro provocando una rarefazione (e quindi una diminuzione della pressione) in prossimità della parete. Si dice allora che la pressione presenta un ventre e viene riflessa senza inversione di fase (come farebbe l’estremo libero di una corda).
Riflessione dell’onda sonora all’estremità di una canna aperta
Cosa succede quando l’onda sonora, cioè l’onda di compressione longitudinale presente nel mezzo (che assumeremo essere aria) raggiunge, in certo istante, l’estremo di una canna aperta? In prossimità dell’estremità della canna le molecole dell’aria ora sono libere di oscillare longitudinalmente, cioè parallelamente alla direzione di propagazione dell’onda:
- si crea un ventre nell’ampiezza dell’onda longitudinale, analogamente a quanto accade all’estremo libero di una corda;
- per quel che concerne la pressione, invece, essa è vincolata ad assumere, per continuità, il valore della pressione atmosferica presente appena all’esterno della canna. La presenza della estremità aperta produce in questo caso un nodo e l’onda di pressione viene riflessa con una inversione di fase.
Riassumendo, esattamente come nelle corde, la presenza di “vincoli” fisici impone
- la nascita di onde riflesse che interagendo con l’onda della sorgente determinano la formazione di onde stazionarie;
- la formazione di nodi o di ventri di pressione nelle estremità delle canne (aperte e chiuse). Come spiegato in dettaglio nella pagina interferenza tra onde riflesse questo determina la nascita di condizioni di quantizzazione sulle possibili lunghezze d’onda stazionarie della canna. Le condizioni di quantizzazione ricavate per la corda, che riportiamo per comodità nella tabella seguente, valgono anche per i tubi i sonori a patto di considerare l’estremo vincolato della corda come l’estremo di un tubo aperto e l’estremo libero della corda come l’estremo chiuso di un tubo sonoro. Nella tabella L indica sia la lunghezza della corda che la lunghezza della canna:
tipo di vincolo | lunghezza d’onda “permesse” |
---|---|
corda con estremi fissi (canna aperta ad entrambe le estremità) | ![]() ![]() |
corda con estremi liberi (canna chiusa ad entrambe le estremità) | ![]() ![]() |
corda con un estremo fisso ed un estremo libero (canna chiusa ad una sola estremità | ![]() ![]() |
- In realtà al posto della lunghezza fisica L della canna è necessario inserire nelle formule precedenti una lunghezza efficace che tenga conto del fatto che la variazione di impedenza tra l’aria interna al tubo e quella esterna varia in modo graduale e non bruscamente come avviene agli estremi fissi di una corda.
Ti consigliamo di ripetere gli esperimenti sui tubi sonori del nostro laboratorio virtuale per osservare con maggiore consapevolezza:
- l’inversione o la non inversione di fase dell’onda di pressione riflessa;
- la correzione di lunghezza efficace (che dipende fortemente dalla presenza di fori e dalla forma terminale della canna);
La capacità di selezionare determinate onde stazionarie dei tubi sonori (chiusi e aperti) è alla base del funzionamento di tutti gli strumenti a fiato e dell’organo a canne.
Calcoliamo la distanza di un ostacolo tramite la riflessione
Molti dispositivi e anche alcuni animali utilizzano il fenomeno della riflessione di un’onda per rilevare la presenza di un ostacolo. Il principio della localizzazione è molto semplice:
- si invia un’onda su di un ostacolo che genera un’onda riflessa
- misurando il tempo di ritardo tra l’istante di generazione dell’onda e l’istante di arrivo dell’onda riflessa è possibile risalire alla distanza dell’ostacolo. Detta D la distanza dell’ostacolo e V la velocità dell’onda nel mezzo, è ovvio che l’intervallo di tempo trascorso può essere facilmente determinato mediante la formula
E’ importante sottolineare che tale metodo può funzionare se
- la lunghezza d’onda incidente è molto minore delle dimensioni trasversali dell’ostacolo
- se l’apparato ricevente è così “pronto” da poter discriminare le due onde (quella incidente) e quella riflessa ricevuta in rapida successione.
L’eco e il riverbero
Nel caso delle onde sonore le lunghezze d’onda variano da circa 17 metri (per i suoni molto gravi, di bassa frequenza) fino a pochi millimetri (per suoni molto acuti, di alta frequenza). Inoltre il nostro orecchio ha la capacità, per ragioni fisiologiche, di discriminare due suoni ricevuti in sequenza, solo se il tempo di separazione è circa di un decimo di secondo. Ricordando che la velocità di propagazione del suono in aria è di circa 340 m/s, un rapido calcolo mostra che, nel caso degli esseri umani, il metodo può essere efficace solo per la localizzazione di oggetti di grandi dimensioni e posti a distanza maggiore di
In effetti, con la formula precedente, abbiamo ricavato le condizioni per cui ci si può aspettare di sperimentare il fenomeno dell’eco: l’ostacolo deve essere di grandi dimensioni (ad esempio la parete di una montagna) e posto ad almeno 17 metri dalle nostre orecchie!
Lo stesso Newton utilizzò il fenomeno dell’eco per una prima determinazione della velocità del suono: egli ottenne misure incredibilmente precise (entro l’1% del valore noto oggi) utilizzando il porticato della Neville’s Court nel Trinity College, Cambridge, dove aveva studiato, lungo ben 65 metri (v. fotografia qui a fianco). Osserva che il tempo che Newton dovette misurare era comunque inferiore al secondo (visita la pagina velocità del suono se vuoi sapere come Newton risolse il problema).
Nel caso in cui non si verificassero le condizioni per avere l’eco, ovvero il suono riflesso arrivasse all’osservatore in un tempo inferiore a un decimo di secondo dopo quello emesso, si ha il riverbero, ovvero una sensazione sonora più intensa e causata dal fatto che il suono riflesso si sovrappone al suono di “partenza” generando un’impressione di minor nitidezza e di più difficile localizzazione e della sorgente sonora e dell’ostacolo. Provate ad immaginare, come nel peggior degli incubi, di emettere un urlo in una piccola grotta buia: il suono torna alle vostre orecchie in modo confuso impedendovi la benché minima localizzazione delle pareti. In questo caso probabilmente (anche se non sono soddisfatte le condizioni per avere l’eco, cioè assumendo che le pareti distino da voi meno di 17 metri) avvertireste anche ancora il fenomeno dell’eco dovuto stavolta a riflessioni multiple. Il fenomeno del riverbero è di fondamentale importanza nella progettazione di sale da concerto: se vuoi approfondire questi aspetti visita la pagina relativa all’acustica architettonica.
Applicazioni tecnologiche della riflessione del suono
Il SONAR
La parola SONAR, entrata ormai a far parte del vocabolario d’uso comune, è l’acronimo dell’espressione SO.N.A.R, ossia SOund Navigation And Ranging (navigazione e localizzazione tramite il suono). Già il nome rivela di per sé
- come tale dispositivo utilizzi il fenomeno della riflessione delle onde sonore (si tenga presente che le onde sonore sono in grado di propagarsi in acqua anche per chilometri, alla velocità di circa 1500m/sec);
- come esso venga impiegato a bordo delle imbarcazioni e dei sottomarini per individuare il fondale o corpi immersi (come banchi di pesci, altre imbarcazioni e sottomarini).
I SONAR possono essere passivi o attivi. Nel primo caso, essi sono usati per identificare la presenza di particolari fonti sonore, essendo nella pratica semplici ‘orecchi’ in ascolto dei suoni che si propagano sott’acqua. Sono i sonar attivi, invece, che sfruttano appieno il fenomeno della riflessione sonora descritto in precedenza: essi sono costituiti da dispositivi di trasmissione/ricezione di impulsi sonori (anche ultrasonici) e da misuratori del “tempo di volo” (cioè del tempo di andata e ritorno) dell’onda sonora riflessa. Ovviamente essendo dispositivi elettronici, tali misuratori possono avere un potere separatore tra due suoni successivi molto minore dei limiti imposti dalla fisiologia del sistema uditivo dell’uomo e consentire la localizzazione di ostacoli anche molto vicini.
La tecnica SONAR oggigiorno si è “emancipata” dalla sua origine nautica e viene impiegata in tutti i dispositivi che utilizzano sensori ad ultrasuoni:
- nei robot mobili che devono essere capaci di muoversi in un ambiente in modo autonomo ed in sicurezza. Per far ciò essi sono appunto dotati (accanto ad altri sistemi come scanner LASER e a raggi infrarossi) di sensori ad ultrasuoni (tipicamente di frequenza pari a 40khZ, ben superiore al limite delle frequenze udibili di 20 KHz) in grado di localizzare eventuali ostacoli nell’ambiente che potrebbero intralciare il cammino dei robot stessi. Le possibili fonti di errore del metodo SONAR nella misurazione delle distanze possono essere dovuti:
a) ad un’imprecisa valutazione della velocità di propagazione del suono in aria (che dipende, seppur debolmente, dalle condizioni di temperatura e di umidità dell’aria);
b) alla natura dell’oggetto che riflette l’onda sonora (ad esempio se è fatto di materiale “fonoassorbente” o presenta una superficie scabra che può dar luogo al fenomeno della riflessione diffusa), alla sua inclinazione rispetto alla direzione di propagazione dell’onda sonora incidente (che può compromettere la sensibilità del ricevitore a cui arriva solo una minima frazione dell’onda riflessa). Tali errori, a meno di lavorare in condizioni ambientali estreme, sono comunque, su piccole distanze, più che accettabili: ne è prova il fatto che esistono già in commercio robot mobili che utilizzato i sensori ad ultrasuoni, utilizzati per il trasporto di materiale in ambienti ampi e poco arredati (i lunghi corridoi di un ospedale poco frequentato) o addirittura come guide da museo.
- telecomandi per elettrodomestici con sensori ultrasonici;
- interrutori di vicinanza (ad esempio nei cancelli automatici);
- sistemi di misurazione del livello del liquido in cisterne inaccessibili o in pozzi profondi;
- dispositivi montati sul paraurti delle automobili come dispositivi di aiuto per il parcheggio.
L’ecografia


Ecografia di un feto di 23 settimane
Anche l’ecografia sfrutta il fenomeno della riflessione delle onde sonore. In questo caso visto le dimensioni minime dei dettagli da visualizzare tramite ecografia, devono essere usati ultrasuoni di lunghezza d’onda molto piccola (cioè di frequenza elevatissima). In effetti nelle tecniche ecografiche vengono impiegati ultrasuoni di altissima frequenza (da 1 MHz a 10 MHz, generati da cristalli di quarzo in grado di vibrare anche milioni di volte in un secondo). Le esigenze di avere un elevato potere risolutivo (cioè la possibilità di discriminare come distinti oggetti molto vicini) assicurato dall’uso di onde ad elevata frequenza si scontra però con il fatto che tali onde hanno una minor capacità di penetrazione nei tessuti (onde ad elevate frequenza vengono assorbite, in generale, con più rapidità). La scelta del “range” di frequenze ecografiche deve quindi contemperare queste due opposte esigenze. La tecnica ecografica si basa sulla diversa capacità di riflettere le onde sonore che sostanze di diversa densità e composizione chimica possiedono: direzionando le sonda ecografica sulle parti da studiare secondo diverse angolature ed analizzando, molte volte al secondo, le onde riflesse si riescono ad ottenere informazioni, tradotte poi in immagini, che rielaborate in sequenza generano addirittura un filmato. L’utilizzo più largamente conosciuto dell’ecografia è quello che consente di vedere un feto muoversi nel grembo materno (vedi immagine a lato). L’esame ecografico è operatore-dipendente nel senso che il suo corretto esito è vincolato alla capacità di un operatore adeguatamente istruito di decodificare le immagini ecografiche. Un’ultima osservazione: chi ha effettuato un’ecografia sa che prima di venire esposta alle onde sonore la “pelle” al di sopra della parte da esplorare viene cosparsa di “gel”: tale sostanza funge da adattatore di impedenza tra la sonda ecografica e gli organi interni: essa modifiche le proprietà riflettenti della pelle modificandone l’impedenza alle onde sonore e rendendola praticamente “trasparente” alle onde ultrasoniche.
L’eco Doppler
Un’interessante “variante” dell’ecografia classica applicata ai vasi sanguigni è l’esame diagnostico conosciuto come Eco-Doppler. L’ecografia classica consente di studiare la morfologia delle pareti dei vasi arteriosi e venosi rilevando
- la presenza di stenosi (restringimenti) dei vasi dovute a depositi lipidici (ad esempio il famoso colesterolo) o di placche aterosclerotiche;
- la presenza di ispessimenti e di perdita di elasticità delle pareti.


EcoDoppler
Essa però non è in grado di valutare le ripercussioni emodinamiche (cioè sul flusso effettivo del sangue) che hanno tali anomalie morfologiche; per ovviare a tale limite diagnostico l’ecografia viene utilizzata assieme alla tecnica Doppler la quale permette anche la visualizzazione delle parti in movimento (in questo caso il flusso del sangue). Tale tecnica si basa sullo spostamento in frequenza che subiscono le onde riflesse da corpi in movimento; tale spostamento dipende dalla velocità del corpo riflettente e quindi fornisce una “mappatura” delle diverse velocità del flusso sanguigno nei vari punti della sezione del vaso. Gli aspetti quantitativi di tale spostamento in frequenza sono ben descritti nelle pagine relative all’effetto Doppler. Nell’immagine a lato le parti “biancastre” rappresentano il vaso sanguigno; in rosso è stato colorato il flusso sanguigno. Esistono tecniche di visualizzazione (utilizzate nell’esame denominato Eco-color Doppler) più raffinate che associano alle diverse velocità del flusso sanguigno un colore diverso.
Fonte: Tutto il materiale di questo articolo è tratto dal sito:
http://fisicaondemusica.unimore.it
Categories: N01- Lost Orpheus Music Studio
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