Le note che state per leggere vogliono avere solo un modesto compito di orientamento preliminare sull’arte bizantina. Esse scaturiscono dalla lettura e dall’approfondimento di alcuni testi importanti, come quello di Mauro della Valle, Costantinopoli e il suo impero. Arte, architettura, urbanistica nel millennio bizantino, Jaca Book, Milano 2020 (2007). Per i disegni architettonici abbiamo fatto ricorso ad alcuni siti di riferimento, come Bisanzio. Storia, Arte e Architettura dell’Impero romano d’Oriente. Lineamenti di storia, arte e architettura degli stati latini d’Oltremare e dei possedimenti della Serenissima.
Il laboratorio ravennate: architettura


Le piante delle chiese bizantine ravennati conservano i tipi tradizionali delle prime chiese romane paleocristiane (del IV e V secolo) che sono: centrale; basilicale; a croce. Gli elementi di novità li troviamo nelle strutture e nella decorazione architettoniche. Un primo elemento di novità lo possiamo constatare in un abside poligonale all’esterno e semicircolare all’interno. Un secondo elemento di novità è il Tiburio che appare all’esterno come una torre e che all’interno nasconde una cupola. Il tiburio è un elemento architettonico che racchiude al suo interno una cupola proteggendola. Può assumere svariate forme, come quella cilindrica, cubica, parallelepipeda o prismatica, a seconda che la cupola abbia pianta poligonale o circolare. Generalmente è costituito da un tetto a spioventi chiuso in sommità da una lanterna.
La decorazione esterna è costituita da lesene, archetti pensili e arcate cieche.
Negli interni è presente il pulvino sulle colonne. Il pulvino è un elemento architettonico strutturale a forma di tronco di piramide rovesciata, posto tra il capitello e l’imposta dell’arco. Scarno o variamente decorato con motivi ornamentali a traforo o a rilievo, il pulvino raggiunge la sua massima espressione nell’architettura bizantina; se ne possono trovare alcuni esempi nell’architettura paleocristiana ravennate.
La sua particolare conformazione conferisce al pulvino la funzione strutturale di concentrare le tensioni generate dai carichi soprastanti verso la colonna posta al di sotto del capitello.
Esempio di capitello con pulvino. San Vitale. Ravenna
Nelle chiese bizantine ravennati si insiste in un contrasto simbolico tra esterno e interno. L’esterno deve apparire semplice, spoglio, povero, legato alla materia, concreto rinvia all’idea cristiana del “corpo”, inteso come semplice involucro materiale. L’interno invece si presenta ricco, pieno di colore, fantastico, immateriale, allude allo “spirito”, che ha natura divina, grazie alla fede, si carica di valore sacro, inteso come contenuto divino.


Uno dei monumenti che manifesta meglio questa concezione dualistica è il Mausoleo di Galla Placidia. Qui in particolare, questo contrasto è molto esaltato, anche perché si tratta di un monumento funebre, quindi diventa fondamentale distinguere il “corpo” inteso come materia semplice, destinata a una fine, dall’”anima” eterna, che si riempie di Dio nell’al di là.

Iconologia dei mosaici di Ravenna
Si può dire che Ravenna rappresenti un vero e proprio laboratorio di quella che sarà poi l’arte bizantina. Lo stile rappresentato a Ravenna si evolve nel tempo e si possono quindi distinguere tre fasi:
Inizialmente, nel V sec, il periodo di Galla Placidia, si ha una fase di transizione: l’arte ravennate presenta forti legami con la tradizione tardo-romana, e quindi è più classicheggiante. Vuol dire che troveremo un gusto naturalistico, più concreto, più realistico. Un esempio è offerto dalla Lunetta del Buon Pastore, che fa parte dei mosaici del Mausoleo di Galla Placidia. Si possono notare gli effetti di profondità, un certo dinamismo nelle pose, il cielo azzurro e i dettagli paesaggistici.
L’età di Teodorico vede associare le componenti classiche ad alcuni elementi cosiddetti “barbarici”, cioè appartenenti alla cultura propria degli Ostrogoti, come ad esempio alcuni aspetti decorativi che derivano soprattutto dall’oreficeria e dall’arte dei metalli. Il fregio della cupola del Mausoleo di Teodorico riporta il motivo decorativo della “tenaglia”, un elemento che si può ritrovare anche nella lavorazione delle armi ostrogote.
In seguito, nel VI sec., età di Giustiniano, prevale la componente orientale. Ciò comporta una forte tendenza all’astrazione e al simbolismo, un gusto più fantastico dove gli elementi espressivi sono legati a significati particolari e quasi esclusivamente religiosi. Forme e composizioni si fanno sempre più essenziali e immateriali, le immagini rinviano a un mondo trascendente, di valori metafisici. Ogni elemento visivo (colori, forme, motivi decorativi, geometrie, numeri ecc.) assume un particolare significato e carica di fascino e mistero questo linguaggio raffinatissimo, il cui senso profondo poteva essere colto da pochi eletti.
I mosaici
Mausoleo di Galla Placidia
Gesù Buon Pastore è un mosaico che si trova all’interno del Mausoleo di Galla Placidia di Ravenna e nel quale Cristo è circondato da un gregge di pecore, simbolo dei fedeli.

Basilica di Sant’Apollinare Nuovo
Nel Corteo delle Sante Vergini le figure del mosaico derivano dalla pittura romana, però si allontanano da essa perché manca il realismo e le posizioni dei corpi sono innaturali e rigide. Inoltre sono ripetitive e stereotipate. Le forme sono bidimensionali poiché manca il chiaroscuro. Lo sfondo dorato infine non rappresenta il cielo ma idealmente lo spazio divino. Le figure sono costruite attraverso campiture bidimensionali e linee di contorno. Infine i panneggi degli abiti e del velo contribuiscono a creare un minimo di volume nelle figure delle Vergini. https://www.analisidellopera.it/il-corteo-delle-sante-vergini/

Basilica di San Vitale
Il Corteo di Teodora è un mosaico commissionato dal vescovo Massimiano e realizzato in occasione della consacrazione della Basilica di San Vitale a Ravenna.

L’imperatore Giustiniano e il suo seguito è un mosaico bizantino che si trova nella Basilica di San Vitale di Ravenna.

Battistero degli Ariani
Battistero degli Ortodossi

Costantinopoli, strutturazione di una capitale imperiale
La città di Costantino e Giustiniano
Costantino I Il Grande iniziò la costruzione di Nuova Roma nel 324 d.C. e nel 330 d.C. le diede il nome di Costantinopoli, o città di Costantino, nominandola capitale dell’Impero Romano d’Oriente.
La Chalke, Costantinopoli
La Chalke (Χαλκῆ Πύλη= porta di bronzo) costituiva l’accesso monumentale al Gran Palazzo imperiale dallo spiazzo dell’Augusteion. Prendeva il nome dagli imponenti battenti bronzei fatti realizzare dall’architetto Eterio per volere dell’imperatore Anastasio I (491-518), sotto il cui regno venne costruita la prima versione della porta (2). Veniva aperta al levar del sole alle persone invitate dall’imperatore e si richiudeva dietro di loro al tramonto.
La formazione di un linguaggio architettonico religioso ortodosso
Come si può leggere alla voce “Architettura- Arte bizantina” dell’Enciclopedia Treccani “Nella storia dell’a. di Costantinopoli e del Mediterraneo orientale il sec. 6° segna il momento di più netta rottura con la tradizione tardoantica e paleocristiana, cui corrisponde la sperimentazione e la messa a punto di un nuovo codice e di un nuovo linguaggio spaziale, autenticamente bizantini. Nel campo dell’edilizia religiosa, in particolare, si consuma quello che è stato suggestivamente definito un vero e proprio ‘scisma’ architettonico (Krautheimer, 1965) tra l’Europa, che rimarrà in sostanza fedele per tutto il corso del Medioevo al tipo basilicale di estrazione romana, e i territori bizantini, orientati da allora in poi, preferenzialmente, verso strutture a planimetria centralizzata, coperte a volte e cupole”.
Si può scorgere l’inizio di un linguaggio architettonico religioso ortodosso nella chiese basate su piante a croce inscritta. Il termine “croce inscritta” indica la forma architettonica dominante nelle chiese bizantine del medio e ultimo periodo. La prima chiesa con pianta a croce inscritta venne probabilmente costruita nell’VIII secolo, e la forma rimase in uso nel mondo ortodosso fino ai giorni nostri.
La chiesa dei Ss. Sergio e Bacco
La fondazione dell’edificio, tra i primi atti di governo di Giustiniano, avvenne tra il 527 e il 536 d.C. (poco prima dell’erezione di Hagia Sophia, avvenuta tra il 532 e il 537). Costituita da un vano centrale coperto da cupola a spicchi e attorniata da esedre alternativamente a curve e rette, è ravvisata una significativa elaborazione dello schema a pianta centrale del martyrion, santuario cristiano dedicato al culto di un martire.

La chiesa dei SS.Apostoli

E’ incerto se la fondazione originaria della Chiesa dei SS. Apostoli debba essere attribuita a Costantino il grande o a Costanzo II, fu comunque ampiamente ristrutturata in epoca giustinianea assumendo la forma di una chiesa a croce libera, sopravanzata da nartece e esonartece e sormontata da una cupola centrale e da altre quattro lungo i bracci della croce.
Sopra una pianta cruciforme erano disposte cinque cupole, delle quali la centrale più alta. Un’area centrale coperta dalla cupola era inclusa in un quadrato sensibilmente più grande: il soffitto a volta dei quattro lati identificava internamente una navata ed un transetto. A volte lo spazio centrale era quadrato, altre volte ottagonale, o per lo meno c’erano otto pilastri invece di quattro a sostenere la cupola, con navata e transetto proporzionalmente più piccoli.
Disegnando un quadrato e dividendo ciascun lato in tre parti, con la parte centrale più grande, e dividendo – partendo dai punti ottenuti – l’area in nove, ci si avvicina ad un progetto tipico di quegli anni. Dai punti di divisione sul lato est si sviluppano tre absidi, mentre alla facciata ovest si sovrappone uno stretto portico di entrata, il nartece. Di fronte a questo si crea un cortile quadrato, l’atrio: di solito ha una fontana centrale posta sotto un baldacchino sostenuto da colonne. Proprio sotto il centro della cupola si ha l’ambone, dal quale venivano proclamate le Scritture, e sotto l’ambone stava il coro dei cantanti.
Sul lato est del quadrato centrale c’era una transenna sormontata da immagini, l’iconostasi, a separare il bema, dove era situato l’altare, dal corpo della chiesa. Il bema era la zona della chiesa riservata al clero ed ai ministri, analoga quindi al presbiterio. L’altare era protetto da un baldacchino o ciborio poggiante su pilastri. File di sedili innalzati lungo la circonferenza dell’abside, con il trono del patriarca nel punto centrale a est formavano il synthronon (trono collettivo). I due ambienti più piccoli e absidati ai lati del bema erano i Pastoforia (prothesis e diaconicon). L’ambone e il bema erano collegati dal solea, un camminamento sollevato affiancato da ringhiere o muretti.
Chiesa di San Polieucto
Fatta edificare una prima volta da Licinia Eudossia – moglie di Valentiniano III – subito dopo il 462. Fu in seguito completamente ricostruita su commissione della nipote Anicia Giuliana, una delle nobildonne più ricche di Costantinopoli, figlia di Placidia – la minore delle due figlie di Valentiniano III e Licinia Eudossia – e Flavio Anicio Olibrio, imperatore d’Occidente per pochi mesi nel 472, a sua volta moglie di Aréobindo console nel 506 sotto Anastasio I (491-518) – circa dieci anni
Basilica di Santa Sofia

La prima chiesa era conosciuta come la Μεγάλη Ἐκκλησία (Megálē ekklēsía, “Grande Chiesa”, a causa delle sue dimensioni più grandi rispetto alle altre chiese contemporanee già presenti in città). La chiesa fu dedicata al Logos, Gesù Cristo il Salvatore, nel giorno della Sua Natività. Inaugurata il 15 febbraio 360 (durante il regno di Costanzo II) dal Vescovo ariano Eudossio di Antiochia, fu edificata vicino alla zona dove era in costruzione il palazzo imperiale. La vicina chiesa di Santa Irene (Ἁγία Εἰρήνη in greco, dedicata cioè alla “Santa Pace”) era stata completata precedentemente e servì come cattedrale fino a quando Santa Sapienza non fu terminata. Entrambe le chiese svolsero poi il ruolo di chiese principali dell’Impero bizantino.
Il 23 febbraio 532, pochi giorni dopo la distruzione della seconda basilica, l’imperatore Giustiniano I decise di costruire una nuova basilica completamente diversa, più grande e più maestosa rispetto a quelle dei suoi predecessori.
I mosaici bizantini: una teologia della luce
Nella prima parte di questo testo abbiamo già affrontato il tema dei mosaici, parlando di quelli ravennati. Ora approfondiamo lo sguardo.
Come scrive la dottoressa Miriam Savarese “L’espressione «metafisica della luce», coniata nel 1916 da Clemens Baeumker, indica, sebbene non all’unanimità, la dottrina medievale che considera la luce (lux) forma prima dei corpi (prima forma corporalis o corporeitas): la luce costituisce il “principio” ontologico essenziale, se vogliamo la componente strutturale essenziale, di ogni ente fisico, animato o inanimato che sia. Dio, inoltre, è concepito come Luce eterna. Da un punto di vista cosmologico, dunque, la luce permette la costituzione dell’universo e ad essa si possono attribuire i mutamenti dell’universo stesso: la diffusione della luce è la causa a cui possono essere ricondotti tutti gli altri rapporti di causalità naturale. Si noti, infatti, che alla metafisica della luce si accompagna solitamente una fisica della luce e anche un’estetica della luce; quest’ultima meriterebbe però una trattazione a parte”. https://disf.org/simbologia-luce-medioevo
I mosaici della Santa Sofia
Il periodo di splendore dei mosaici della Santa Sofia coincide col periodo post iconoclasta: dall’867 al 1356, la basilica si riempie di mosaici, a partire da quello del Cristo Pantocratore nella cupola centrale, fino ad arrivare ai magniloquenti angeli e alla maestosa Vergine del catino absidale, sicuramente dell’867 perché citati in un’omelia del patriarca Fozio.
Nelle nicchie su cui si impostano le campate nord e sud, poi, patriarchi e padri della chiesa: ne rimangono tre, ma una preziosa testimonianza è costituita dagli acquerelli di Gaspare e Giuseppe Fossati, architetti svizzeri chiamati dal sultano Abdul Mejid I (1839-61), che documentano la decorazione dell’edificio: bisogna supporre che tutti quei mosaici che compaiono nei disegni dei Fossati ma che non si trovano nella basilica siano – purtroppo – andati perduti.
Prevalgono le rappresentazioni degli imperatori, come nel pannello sopra il nartece, in posizione di grande spicco: l’imperatore Basilio (867-886) in atteggiamento di proskynesis, prostrazione, che venera le sante icone, col Cristo, la Vergine in trono e angeli in medaglioni. Alcuni vedono in questo imperatore Leone VI (886-912), che avendo contravvenuto alla legge sposandosi per quattro volte, tenterebbe così di ripristinare la propria figura.

Fonte: http://www.veronicaroute.com
Interessante è il caso del mosaico di Costantino IX (1042-1055) e della moglie Zoe, realizzato, o meglio, rimaneggiato certamente dopo il 1042, presenta dei volti armonizzati con lo scopo di “cancellare” i tratti di Romano III, primo sposo di Zoe, e di sostituirli con quelli del nuovo consorte.


Il periodo intermedio dell’Arte bizantina
Il periodo intermedio della storia bizantina non vide ambiziose opere architettoniche. Degli anni dell’iconoclastia ci rimane solo la Basilica di Santa Sofia a Tessalonica. Un’altra importante costruzione, la Chiesa dell’Assunzione a Nicea, fu distrutta durante la guerra greco turca all’inizio degli anni venti del novecento, ma se ne conservano delle fotografie.

Il periodo della dinastia dei Macedoni, tradizionalmente considerato il compendio dell’arte bizantina, non ha lasciato una duratura eredità in architettura. Si presume che la chiesa votiva Theotokos Panachrantos (Immacolata Madre di Dio, probabilmente l’odierna moschea di Fenari Isa), voluta da Basilio I e non più esistente, sia servita come modello per molti santuari di quel periodo con pianta a croce inscritta, come la chiesa del Monastero di Ossios Loukas in Grecia (circa 1000), il Monastero di Nea Moni a Chio (un progetto caro a Costantino IX) e il Monastero di Dafni a Chaidari, presso Atene (circa 1050).
La pianta a croce inscritta divenne predominante anche nei paesi slavi evangelizzati dai missionari greci durante il periodo macedone. La Cattedrale di Santa Sofia di Ocrida (nell’odierna Macedonia del Nord) e la Chiesa di Santa Sofia a Kiev (nell’odierna Ucraina) testimoniano la moda delle cupole sussidiarie su tamburo, che col tempo sarebbero diventate più alte e più snelle.
I periodi comneno e paleologo
A Costantinopoli ed in Asia Minore l’architettura del periodo dei Comneni ha lasciato poche ma notevoli testimonianze: in Cappadocia l’Elmali kilise ed altri santuari rupestri; a Costantinopoli la chiesa del Pantocratore (oggi nota come Moschea di Zeyrek) e la chiesa della Theotokos Kyriotissa (Madre di Dio in Trono, oggi nota come moschea Kalenderhane). Molto invece sopravvive ai margini del mondo bizantino, dove nacquero forme nazionali di architettura: nei paesi transcaucasici, in Russia, Bulgaria, Serbia ed altri paesi slavi, così come in Sicilia (Cappella Palatina) e Veneto (Basilica di San Marco, Cattedrale di Santa Maria Assunta).
La rinascenza paleologa
Il periodo dei Paleologi è invece ben rappresentato da una dozzina di chiese di Costantinopoli, particolarmente San Salvatore in Chora (oggi Museo Kahriye) ed il parekklesion della Theotokos Pammakaristos (Beata Madre di Dio, oggi moschea Fetiye). Diversamente dalle controparti slave, gli architetti di questo periodo non accentuarono mai la spinta verticale delle strutture. Come risultato, non c’è molta magnificenza nelle architetture tardo medievali di Bisanzio (eccetto la Chiesa di Santa Sofia di Trebisonda).
La Chiesa dei Santi Apostoli a Salonicco è spesso citata come una struttura tipica del tardo periodo, quando le mura esterne venivano decorate con complessi, intricati schemi di mattoni o con ceramiche smaltate. Altre chiese del periodo immediatamente precedente la caduta di Costantinopoli sopravvivono sul Monte Athos e a Mistra (ad esempio il Monastero di Brontochion).
Chiesa di San Salvatore in Chora

La maggior parte dell’alzato oggi visibile data tra il 1077 e il 1081, quando Maria Ducas, suocera di Alessio I Comneno, fece ricostruire la chiesa con pianta a croce greca inscritta, stile comparso nell’XI secolo, che servirà da modello alle chiese ortodosse fino al XVIII secolo. All’inizio del XII secolo subì ingenti danni, forse a causa di un terremoto. Fu ricostruita da Isacco Comneno, terzo figlio di Alessio. La chiesa assunse la forma attuale con l’ultima ristrutturazione di due secoli più tardi. Il potente logoteta Teodoro Metochite arricchì la decorazione interna con mosaici e affreschi, tra il 1315 e il 1321, creando una tra le migliori testimonianze della rinascenza paleologa.

La chiesa è piuttosto piccola rispetto ad altri luoghi di culto di Istanbul (la sua superficie è di 742,5 m²), ma le sue piccole dimensioni sono compensate dall’imponenza degli interni, come spesso capita nell’architettura bizantina. L’edificio è composto da tre zone principali: l’ingresso o narthex, Il corpo principale della chiesa o naos, e la cappella o paracclésion. Il nartece si divide in due parti: Il nartece interno o esonarthex e il nartece esterno o exonarthex.
L’edificio ha sei cupole, due sull’esonartece, una sul paracclésion e tre sul naos. La cupola più grande ha un diametro di 7,7 m ed è situata nel centro del naos.
Categories: A20.03- Analisi delle opere d'arte, V02.01- Arte bizantina, X07- Itinerari d'arte
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