Antonio De Lisa (Adel)- Gli otto elementi generativi dell’arte organica / The eight generative elements of organic art

Ho avuto modo in altra occasione di parlare degli elementi costitutivi del mio modo di procedere in arte (1). In questa sede si tratta di precisare quali sono gli elementi generativi di quest’arte. Il lessico è antico per astrarre il più possibile i concetti e renderli autonomi. Sono otto e ci incaricheremo di illustrarli e spiegarli in questo articolo.

Il segno  artistico, l’elemento cellulare che genera un’opera d’arte sembra comportarsi, in questa  prospettiva,  contemporaneamente, come segno  e come elemento strutturante: che sia un punto, una macchia di colore, una sbavatura sulla tela; come elemento che dà vita a una struttura e come morfema capace di articolarsi in un linguaggio visivo. Questo processo si svolge analogamente a quanto avviene nella musica. Da questo punto di vista si può dire che l’arte è un sistema a due valori. L’imprendibile quantum artistico, che appare spesso occulto, segreto, misterico, giustifica il termine di universo “simbolico-rappresentativo” che  si può attribuire all’universo artistico.

Il segno artistico non è debitore della realtà più di quanto lo sia un’immagine di sogno, non si può ingabbiare in un processo mimetico, ma è autocostruttivo.

L’immagine artistica, che è un’immagine mentale (concettuale), si costruisce e decostruisce, svincolata dal mondo, anche se con questo ha una parentela; ma è una parentela non-ontologica. Non vuole rappresentare una sostanza, ma un sistema di relazioni.

In un altro saggio ho parlato della portata de-costruttiva dell’ object ambigu, nel passaggio della materia sonora da ornamento a testo. Nella prospettiva di quel saggio prendevo in considerazione l’emergere conflittuale della sostanza dell’espressione, intesa in senso materico, rispetto alla forma dell’espressione (2). Qui mi preme segnalare gli esiti di questo processo.

Gli otto aggregati dinamici

Nel ciclo pittorico che chiamo Enstasi  si possono vedere nel loro insieme come si combinano gli otto aggregati dinamici che sono alla base della mia pittura. Non è il solo, però. Essi sono presenti in tutti i miei 12 cicli pittorici.

  1. Rhythmelos
  2. Eteromelos
  3. Contrapunctus
  4. Densitas
  5. Lux
  6. Color
  7. Tempus
  8. Actio

La struttura generativa di un ipercubo semiotico

Dobbiamo a questo punto descrivere il processo generativo interno che produce quella che chiamiamo Enstasi. Se collochiamo ognuno di questi elementi ai vertici di un cubo e le loro risonanze avremo un ipercubo.

Per esempio facendo ricorso a un “ipercubo roncitroncato” (ipercubo troncato e roncinato), un poliedro semiregolare della quarta dimensione, delimitato da 80 celle tridimensionali: 8 cubi troncati, 16 cubottaedri, 24 prismi ottagonali e 32 prismi triangolari.

Diagramma di Schlegel con 128 facce triangolari (blu) e 192 facce quadrate (verdi), le facce ottagonali sono trasparenti.

Gli sviluppi dell’ipercubo come un Maṇḍala

Un Maṇḍala è diagramma simbolico, caratteristico del tantrismo induista e buddista, in cui circoli e quadrati concentrici (spesso variamente decorati e integrati con altre simbolizzazioni) rappresentano l’universo e l’origine del cosmo nonché le connessioni tra le forze cosmiche e le divinità: considerato atto a favorire la meditazione, può essere realizzato con intrecci di fili su telaio, o tracciato al suolo con polveri di vario colore, dipinto su stoffa, affrescato sulle pareti dei templi ovvero costituire la pianta stessa del tempio (sub voce Treccani enciclopedia).

L’immagine simbolica rimanda alla sfera spirituale. Nelle culture asiatiche, ha rappresentato per secoli un mezzo per raggiungere un più alto grado di consapevolezza e di concentrazione.

Il disegno del Maṇḍala può essere interpretato in due modi: come rappresentazione visiva dell’universo o come guida per diverse pratiche spirituali che si svolgono in molte tradizioni asiatiche, inclusa la meditazione. Nell’induismo e nel buddismo la convinzione è che, entrando nel Maṇḍala e procedendo verso il suo centro, si è guidati attraverso il processo cosmico di trasformazione da uno stato di sofferenza ad uno di gioia e felicità.

Nella tradizione tibetana un Maṇḍala è costituito dai 5 elementi che compongono il nostro universo:

  • La terra, giallo – fermezza, solidità, fiducia: dà la vita
  • L’acqua, bianco – fluidità, flessibilità: armonizza la vita
  • Il fuoco, rosso – sole, calore,vitalità: matura la vita
  • L’aria, verde – respiro della terra, scambio, comunicazione. Anima la vita
  • Lo spazio, blu – l’infinito, la libertà. Accoglie la vita

Il fine ultimo dei Maṇḍala è quello di mettere in relazione il centro del corpo con la sua periferia, poiché generalmente nella vita capita di allontanarci troppo dal nostro centro e perdere di vista il nostro benessere per colpa di ansia, stress ed eccessive preoccupazioni fini a sé stesse. La meditazione mandala ti permette proprio di recuperare questa coscienza e di stabilire un rapporto saldo tra le diverse parti che compongono la nostra interiorità.

La fusione di ipercubo e Maṇḍala

Mentre nel Maṇḍala indo-tibetano si va dall’esterno verso l’interno, nel Maṇḍala basato sull’ipercubo il processo raggiunge lo stesso risultato, ma in maniera dinamica: dall’interno verso l’esterno in una prima fase, dall’esterno verso l’interno in una seconda fase. Non è questa l’unica differenza. Nella figura indo-tibetana l’immagine prodotta è statica. Nel nostro caso l’ipercubo va incontro a processi topologici che rendono dinamica la proiezione nello spazio fino a esiti di deformazione e stiramento. Nonostante le differenze, la dimensione ontologica è la stessa, risponde alla stessa idea di fondo: il mondo è apparenza, che ci distrae con le sue manifestazioni fenomeniche (linee, colori, immagini, oggetti, figure) dal riconoscimento della vera realtà. Si potrebbe dire che la vera realtà sia rappresentata dal sé. Dobbiamo però prendere in considerazione il fatto che la stessa concezione del sé è problematica.

Agiamo in campo pittorico, quindi dobbiamo rendere conto in sede pratica della teoria. Possiamo dire che non esiste in pittura un ente (un oggetto, una figura, qualcosa in quanto tale), ma piuttosto una serie di relazioni fra gli otto aggregati dinamici che ci fa apparire quel “qualcosa” che noi riconosciamo come pittura, arte, istallazione, video. Siamo liberi dalla prigione delle etichette e delle categorie, dalla contrapposizione fra figurazione e astrattismo.

Quel “qualcosa” di cui siamo alla ricerca si dispiega come un “eurhythmelos” (da non confondere col “rhythmelos”, che è il primo aggregato). Il buon ritmo che è una proiezione del nostro ritmo interiore.

Non neghiamo certo un influsso delle religioni orientali, ma cerchiamo di coniugarlo con una tradizione concettuale occidentale. La ricerca delle strutture non ci impedisce di comprendere che sotto le strutture possa esserci il vuoto. La pittura si basa sulla costruzione dello sguardo. Questa costruzione è del tutto convenzionale.

Esse est concipi

Disponendo di uno spazio necessario, si potrebbe dimostrare una sorprendente analogia tra i modi di pensare di un matematico (intuizionista – matematici di tal genere sono arrivati ormai alla quarta generazione), di un musicista, di un esperto di linguaggi e di un informatico moderni, la cui sintesi si potrebbe trovare in un motto latino: esse est concipi  (l’essere è costruire).

Ci si accorge immediatamente della novità sostanziale rispetto alla tradizionale versione fondativa del logos. Il platonico mondo delle idee si sbriciola, in questa prospettiva, in spiegamenti, ventagli, sequenze di scelta,  blocchi e tronconi bene ordinati, operazioni di generazione, sbarramenti grezzi, spazi topologici compatti localizzati, funzioni uniformemente continue;  tutte operazioni della mente. Griss [1993: p. 131], allievo di Brouwer,  dirà: «Le costruzioni matematiche non possono essere separate dal matematico che le crea cosicché non possono avere alcuna esistenza in sé; non sono “Ding an sich” o idee platoniche. Brouwer è il primo ad aver tratto le conseguenze da ciò. Il risultato è la cosiddetta matematica intuizionista dei cui fondamenti io dò una breve formulazione (con lo sguardo rivolto alle conseguenze): “Scissione in soggetto e oggetto, ripetizione in cui il secondo oggetto, conservandosi, può essere distinto dal primo, ecc.; l’origine di ogni contenuto è dato dalla  intuizione originaria della matematica. Su questi fondamenti viene edificata la matematica “intuizionista”».

Le teorie degli artisti

Il secolo scorso ci ha lasciato in eredità diverse opere teoriche degli artisti. Si sentiva la necessità di uscire consapevolmente dallo spazio visivo della tradizione.

Punto, linea, superficie è un saggio di estetica di Kandinsky, un vero e proprio trattato di pittura, pubblicato inizialmente nel 1923, come raccolta delle lezioni teoriche tenute dall’artista nel 1922 alla Bauhaus. Il trattato esamina aspetti di pittura e geometria, che trascendendo la forma, identificano più ampie riflessioni di carattere filosofico estetico. Ciascun elemento concorre a creare una grammatica, che pone le basi per una rigorosa scienza dell’arte, obiettivo ultimo dell’artista e teorico russo. Tale riflessione matematica, non è tuttavia sprovvista di poetica, che al contrario trabocca da ogni dove, richiamando spesso alla memoria concetti di estetica platonica e aristotelica.

Nonostante tutte le contraddizioni apparentemente invincibili, anche l’uomo di oggi non si accontenta dell’esteriorità. Il suo sguardo s acuisce, il suo orecchio si affina, e va crescendo il suo desiderio di vedere e di ascoltare l’interno nell’esterno (p. 156).

A monte di ogni opera di Paul Klee sta un ragionamento a sé. I suoi pensieri non sono raccolti solamente nei diari. Dal 1921 al 1931, in concomitanza con le sue lezioni al Bauhaus – prima a Weimar, poi a Dessau –, l’artista ha compilato dei quaderni solo in parte pubblicati, e le cui 3900 pagine, fitte di appunti e disegni, sono rese da poco disponibili online dal Zentrum Paul Klee di Berna (www.zpk.org), con scansioni e trascrizioni. E’ stato detto che questi fogli stanno al Novecento come gli scritti di Leonardo al Rinascimento.

Gli artisti sentono l’esigenza di illuminare il proprio mondo, così come Leonardo nel Rinascimento aveva fatto per aprire alla mente un nuovo modo di immaginare l’arte.

L’arte e la mente, la cocienza e l’equilibrio

Il sogno “diventa” in Carl Gustav Jung non solo oggetto d’indagine dell’inconscio e della persona, ma soprattutto, alla luce delle conoscenze attuali, è considerato esso stesso un’opera d’arte.

Da “Il libro rosso” di Jung, Bollati Boringhieri, (2011), leggiamo che nel 1918, in un saggio intitolato: “Sull’inconscio”, Jung osservò che ognuno di noi si trova a cavallo fra i due mondi della percezione sensibile e della percezione inconscia… “Se per Friedrich Schiller l’accostamento di questi due mondi poteva avvenire grazie all’arte, per Jung “la conciliazione tra verità razionale e verità irrazionale può realizzarsi non tanto nell’arte quanto piuttosto nel sim-bolo, perché il simbolo contiene, per sua natura, ambedue gli aspetti, quello razionale e quello irrazionale“.

Jung riteneva che i simboli scaturiscono dal profondo inconscio e che la più importante funzione di quest’ultimo è proprio la produzione di simboli. Lo psichiatra chiarisce, a tal proposito, che mentre la funzione compensatoria dell’inconscio è sempre presente, quella di estrapolarne i simboli si manifesta solo quando ci disponiamo positivamente a riconoscerla. Inoltre per Jung l’arte assume un ruolo catartico, di liberazione e considera l’istinto a creare dell’uomo come un’esigenza cardine e fondamentale dell’esistenza: esso non deve essere soppresso o inespresso nel soggetto, altrimenti può creare problemi nell’equilibro psicologico e nella salute mentale.

Questo è il punto in cui volevo giungere. L’arte è catartica se riesce a organizzarsi sulla base di criteri diversi da quelli che regolano il flusso ordinario delle nostre vite. Ha bisogno di punti di ancoraggio. Gli otto aggregati dinamici svolgono questo ruolo.

Note

  1. Antonio De Lisa (Adel), Enstasis. Una via per l’arte, in Eleart-studio: https://eleart.studio/2022/12/18/antonio-de-lisa-adel-enstasis-una-via-per-larte/.
  2. Antonio De Lisa (Adel)- L’object ambigu. Microfluttuazioni della materia nell’arte e nella musica, in Eleart-studio : https://eleart.studio/2021/09/06/antonio-de-lisa-adel-object-ambigu/

Riferimenti

W. Kandinsky, Punto, linea, superficie, Adelphi, Milano, 2021.

G. F. C. Griss , “Filosofia idealista”, in Letture di logica, a cura di Corrado Mangione e Miriam Franchella, Milano, 1993.

L. Handjaras, Problemi e progetti del costruzionismo. Saggio sulla filosofia di Nelson Goodman, Milano, 1991.

Antonio De Lisa (Adel)

© Copyright 2001-22



Categories: A00.01- Raccolta di scritti e riflessioni - Collection of writings and reflections]

Tags:

Rispondi

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: