WUSHU KUNG-FU
Il wushu kung-fu è l’arte marziale più antica del mondo e da esso derivano tutte le altre. Impropriamente è conosciuto in Occidente ‒ soprattutto attraverso dei film di Bruce Lee ‒ come kung-fu, che invece è un termine generico usato in molte situazioni e il cui significato è “esercizio eseguito con abilità”.
Il wushu kung-fu è di origine cinese. Come sistema di lotta ne troviamo tracce fin dal 11° secolo a.C., durante la dinastia Zhou, quando faceva parte di un programma di educazione scolastica. Ma si suppone che già esistesse in epoche più antiche, soprattutto nelle caste militari. Come sistema codificato di arti marziali nasce invece nel 527 d.C., quando nel leggendario monastero di Shaolin, nella regione di Henan nel nord della Cina, giunse il monaco indiano Bodhidarma (o Ta Mo in cinese), 28° patriarca buddhista. A Shaolin, Bodhidarma trovò monaci particolarmente abili nei sistemi di lotta, ma con la salute minata da allenamenti estenuanti, al limite delle capacità umane. Bodhidarma insegnò loro pratiche meditative finalizzate al recupero e allo sviluppo dell’energia. In seguito i monaci combatterono per vari imperatori, ma sotto la dinastia Qing caddero in disgrazia, tanto da essere perseguitati e uccisi. Solo alcuni riuscirono a mettersi in salvo, rifugiandosi in Giappone, in Vietnam, in Corea e in altri paesi dell’Asia, dove iniziarono a diffondere, anche se solo a pochi eletti, le loro conoscenze. Nel corso dei secoli, le arti marziali assunsero una connotazione più locale che prevalse su quella cinese, favorendo la nascita delle diverse discipline. A sua volta il wushu kung-fu ‘originale’ subì le interferenze dei singoli maestri che ne modificarono le tecniche, personalizzandole e dando luogo alla nascita di moltissimi stili diversi, tanto che ora se ne contano più di cento.
Il wushu kung-fu di oggi ha una connotazione decisamente sportiva, pur mantenendo riferimenti alle antiche caratteristiche marziali e filosofiche, ed è tra l’altro materia scolastica i cui docenti si laureano all’Istituto di educazione fisica di Pechino. Due sono le specialità: le forme (taolu), ovvero esercizi liberi a mani nude o con le armi il cui scopo è dimostrare la propria abilità tecnica, e il combattimento agonistico (sanda).
Il taolu si suddivide a sua volta in due categorie: le forme ufficiali da gara e gli stili dimostrativi. Della prima categoria fanno parte il chang quan (stile del Nord), il nan quan (stile del Sud a mani nude), il nan dao (stile del Sud con la sciabola), il nan gun (stile del Sud con il bastone), il taiji quan (antica arte marziale eseguita in modo molto lento), il tai jian (la spada del taiji quan), il dao shu (sciabola), il jian shu (spada), il gun shu (bastone) e il qiang shu (lancia).
Nel termine chang quan sono comprese diverse scuole. Le principali caratteristiche sono l’eleganza delle posizioni, l’agilità e la velocità dei movimenti. I praticanti eseguono le tecniche alla massima estensione permessa dalle braccia, si muovono veloci, saltano e combinano potenza e morbidezza, accelerazioni e pause, movimenti rapidi e altri morbidi.
Il nan quan esalta le posizioni accosciate con un baricentro basso e un lavoro delle gambe tale da garantire grande stabilità. È caratterizzato da pugni potenti, combinazioni corte e con pochi salti.
Il taiji quan è diffusissimo in tutto il mondo nella sua versione sia tradizionale sia moderna. Secondo le ricerche dello storico del wushu Tang Hao, venne praticato per la prima volta dai membri della famiglia Chen nella valle di Chenjia. Il primo insegnante fu Chen Wangting. Di questa arte marziale esistono cinque scuole: Chen, Yang, Wu, Wu (Hao) e Sun, che prendono i nomi delle famiglie dei patriarchi. Sono differenti nelle forme e simili nelle tecniche, tutte richiedono ai praticanti tranquillità, calma, rilassamento e concentrazione. I movimenti sono eseguiti lentamente, con armonia e continuità, seguendo il ritmo della respirazione, vero motore dell’energia (qi).
La sciabola (dao shu) è una delle armi maggiormente diffuse nel wushu cinese. Si utilizzano sciabole a impugnatura corta e a impugnatura lunga, doppie sciabole, sciabole a nove anelli e a lama lunga. Richiedono un uso vigoroso, potente e veloce in attacco e in difesa. Le principali tecniche sono stoccate, fendenti, colpi discendenti, avvitamenti attorno al corpo con il dorso della lama a contatto con il corpo, parate, colpi circolari e giri dell’arma sopra la testa.
La spada (jian shu) è detta “l’arma gentile” ed è la più nobile delle armi corte. È veloce, agile ed elegante in azione: i movimenti sono flessuosi, graziosi e fulminei. Forza ed elasticità interagiscono. Le tecniche più comuni sono le stoccate, i colpi di taglio, le parate, i colpi di punta con il polso in flessione, i movimenti circolari, i fendenti, le rotazioni e i giri sopra la testa.
La lancia (qiang shu) è invece la più nobile delle armi lunghe. Ve ne sono differenti tipi con diverse forme: a punta grossa, a punta segmentata, a punta acuminata e lama su un solo lato, a doppia punta. Le tecniche di base consistono nell’infilzare, disegnare cerchi, parare, bloccare e avvitare. La pratica richiede che la lancia sia usata in maniera ferma e flessibile, avanzandola e arretrandola velocemente ma elegantemente, con infilzate dirette veloci con la forza focalizzata sulla punta.
Il bastone (gun shu) è detto il ‘padre delle armi’ in quanto si ritiene che tutte le altre armi derivino da esso ed è l’arma con la quale di solito si inizia lo studio. Le tecniche di bastone più comuni si sviluppano principalmente in senso circolare e consistono nel fendere, nel colpire in modo diretto od obliquo o dal basso, nel saltare, nel colpire a terra, nel parare, nel trafiggere, nell’eseguire dei cerchi. Il bastone viene usato velocemente, combinando offesa e difesa e cambiando spesso direzione. È generalmente di legno, ma può essere anche di metallo, come nello stile della scimmia.
Oltre alle armi impiegate negli stili ufficiali ne esistono tantissime nelle scuole tradizionali, tra cui il pang (bastone corto), il ch’ang kun (bastone molto lungo), lo shuang chieh kun (bastone snodato a due sezioni), il san chieh kun (bastone snodato a tre sezioni), lo shao kun (“bastone delle sentinelle”: snodato, costituito da un pezzo molto lungo e uno corto, uniti da una catenella), il kuan tao (alabarda), lo shuang kou (spada uncinata), il kang pien (catena d’acciaio), il kuai (bastone corto con manico trasversale utilizzato come impugnatura), il t’ieh ch’ih (asta di ferro appuntita, con una caratteristica impugnatura), lo sheng piao (corda con una punta metallica a una estremità), il fu (ascia di guerra), il ch’ui (mazza) e il pi shou (pugnale).
Negli stili dimostrativi, o tradizionali, rientrano il tongbei quan (stile delle braccia a frusta), il ditang quan (stile delle cadute), il bagua zhang (palmo degli otto trigrammi), lo xingyi quan (stile della forma e della mente), lo hou quan (stile della scimmia), lo ying zhao quan (stile dell’aquila), il tanglang (stile della mantide religiosa), il long xing quan (stile del drago) e, ovviamente, lo Shaolin quan (lo stile della giovane foresta), disciplina che deriva direttamente dal monastero di Shaolin.
Per le sue caratteristiche il wushu kung-fu ha un alto valore sportivo ed educativo: può essere praticato sia per acquisire una buona forma fisica, perché una parte determinante dell’allenamento è composta da potenziamento muscolare e sviluppo delle capacità coordinative e motorie, sia come efficace sistema di difesa personale, attraverso lo studio di pugni, calci e armi bianche. A livello agonistico la sua diffusione è capillare in tutto il mondo, con campionati nazionali, continentali e mondiali. I primi regolamenti agonistici risalgono al 1958 e furono stilati in Cina dalla Commissione di Stato di cultura fisica e sport. Già nel 1936 una squadra dimostrativa di atleti cinesi aveva partecipato alle Olimpiadi di Berlino suscitando grande ammirazione.
Nelle competizioni nazionali e internazionali gli atleti eseguono una o più forme e un pool di giudici assegna un punteggio in base alla perfezione della tecnica, all’equilibrio, al ritmo dell’esecuzione, come accade per la ginnastica artistica. E proprio dalla ginnastica artistica deriva tutta una serie di tecniche acrobatiche che rendono il wushu kung-fu particolarmente spettacolare.
La seconda specialità è quella del combattimento libero, dove gli atleti, divisi in categorie di peso, si fronteggiano con calci, pugni e proiezioni, con possibilità di k.o. Essendo un metodo di lotta molto completo dove i colpi sono portati alla massima intensità, l’atleta indossa caschetto e paradenti, corpetto, protezioni ai piedi, alle tibie, ai genitali. Gli incontri durano 2 round di 2 minuti ciascuno, senza interruzione, e i giudici assegnano i punti in base alle parti del corpo colpite. In caso di parità, si prosegue per altri 2 minuti.
Visto l’alto numero degli stili, non esiste un’uniforme comune: nello stile tradizionale l’abito di kung-fu (kung-fu chuan) più utilizzato è di colore nero, ma molte scuole, come per es. il taiji quan, hanno adottato anche il colore bianco. Molto complicato è anche il sistema di identificazione dei gradi: alcune scuole usano per i gradi inferiori (ji) delle strisce, altri la cintura bianca semplice, altri ancora le cinture colorate. La Federazione italiana wushu kung-fu ha adottato quattro cinture (bianca, gialla, blu, rossa) per i gradi inferiori, mentre quelli superiori (jieh) sono segnati sulla cintura, che può essere nera, rossa oppure color oro, fino al 10°. Le gare di forme, avendo molte componenti acrobatiche, si praticano su tatami o su moquette. I combattimenti vengono effettuati su un quadrato di 8 m per lato, rialzato da terra di circa un metro, senza corde laterali.
Nel mondo il wushu kung-fu ha decine di milioni di praticanti. Forte di questo ingente numero, l’International wushu federation, riconosciuta dal Comitato internazionale olimpico dal 2002, ha proposto di inserire nei Giochi Olimpici di Pechino del 2008 il taolu.
Per quanto riguarda l’Italia, la Federazione italiana wushu kung-fu risale al 1982 ed è associata al CONI dal 1996. La disciplina conta oggi circa 20.000 praticanti. Agli Europei organizzati a Povoa de Varzim (Portogallo) nel 2002 la squadra azzurra è giunta seconda, con 6 medaglie d’oro, 6 d’argento e 4 di bronzo. Altre competizioni dove gli italiani hanno raggiunto ottimi risultati sono state gli Europei del 1996 (3 ori, 3 argenti, 4 bronzi), i Mondiali del 1997 (1 bronzo), gli Europei del 1998 (3 ori, 2 argenti, 3 bronzi), i Mondiali del 1999 (1 bronzo), gli Europei del 2000 (3 ori, 7 argenti, 5 bronzi), i Mondiali del 2001 (2 argenti). Tra gli atleti di punta spiccano il pluricampione italiano ed europeo Lorenzo Paglia, campione del mondo nel 1992, Massimiliano Licopodio (pluricampione italiano), Jonathan Bemporad (pluricampione italiano), Davide Reggiani (pluricampione italiano), Giulio Malagoli (campione del mondo nel 1992 e pluricampione italiano), Guido Gelatti (pluricampione italiano), Luca Citron (pluricampione italiano ed europeo), Roberto Ruggeri (pluricampione italiano ed europeo), Xu Hui Hui (pluricampione italiano ed europeo) e Angelica Cukon (pluricampionessa italiana ed europea). Il commissario tecnico nazionale è Hao Xu; il direttore tecnico del taolu moderno è Luca Piazza, quello del taiji quan Guang Guang Xu e quello del sanda Osvaldo Taresco.
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